Parrocchia Di Collegara-San Damaso

10 novembre 2013

Resoconto Del Primo Incontro Sul Vangelo Secondo Matteo

Filed under: Il Vangelo secondo Matteo — Insieme @ 18:21
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A presto il resoconto del secondo incontro.

Il terzo si terrà sabato 23 novembre alle ore 19 presso la parrocchia di Collegara – San Damaso

Incontro Adulti 21 settembre 2013

Salmo 1
[1]Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi,
non indugia nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli stolti;
[2]ma si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte.
[3]Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che darà frutto a suo tempo
e le sue foglie non cadranno mai;
riusciranno tutte le sue opere.

[4]Non così, non così gli empi:
ma come pula che il vento disperde;
[5]perciò non reggeranno gli empi nel giudizio,
né i peccatori nell’assemblea dei giusti.

[6]Il Signore veglia sul cammino dei giusti,
ma la via degli empi andrà in rovina.

Visione estratto del “Vangelo secondo Matteo” di Pierpaolo Pasolini.

Lettura del Vangelo Mt 5, 1-16

Matteo 5, 1-16
[1]Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. [2]Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
[3]«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
[4]Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
[5]Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
[6]Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
[7]Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
[8]Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
[9]Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
[10]Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.

[11]Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. [12]Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

[13]Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
[14]Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, [15]né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. [16]Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

Lavoro a gruppi

Condivisione
Le beatitudini: le domande.

1. Cosa può farci pensare che chi opera per la giustizia sia veramente beato? Cosa intendiamo oggi per giustizia?
·      Un giusto è una persona che opera nel bene, un puro di cuore.
·      La giustizia è filtrata dalla soggettività di chi la opera.
·      E’ facile vedere le cose sbagliate di quelle giuste.
·      Occorre avere rispetto sia delle persone che delle cose.
·      Il comportamento dev’essere teso al bene comune e non al bene personale.
·      chi opera per la giustizia si sente beato perchè non ha nulla da rimproverarsi e perchè non lo fa per tornaconto.
·      operare i modo giusto ripaga con equilibrio, serenità e consapevolezza.
·      la giustizia per chi è giusta? Qual è la giusta giustizia?

2. Come viene inteso oggi la possibilità di essere beati? La beatitudine coincide con la felicità?
·      la beatitudine e la felicità si collocano su livelli diversi di consapevolezza che l’uomo ha della coerenza tra le proprie azioni e l’ideale e le idee che ispirano le azioni stesse.
·      la beatitudine e la felicità non coincidono, perchè la beatitudine ha un livello più alto di consapevolezza e presuppone la coerenza tra idee e azioni, quindi non c’è un tornaconto e un’immediata felicità.
·      il rispetto delle leggi di Dio produce serenità d’animo e non una forma transitoria della felicità.
·      la realizzazione quotidiana di opere “modeste” coerenti con “la Legge” rappresenta una testimonianza importante per le persone con cui si entra a contatto e di essere “una parte del sale”.

3. Come può essere la povertà di spirito una forma di beatitudine? Come si può essere poveri di spirito in una società complessa?
·      povertà significa semplicità, quindi liberarsi del superfluo e ricercare solo l’essenziale,
·      povertà significa umiltà.
·      essere povero in spirito significa accettare di aver bisogno degli altri,
·      accettare di non essere chiusi nella propria casa,
·      accettare di andare incontro agli altri,
·      accettare la relazione,
·      accettare di mettere a tacere il nostro pensiero e i nostri progetti per ascoltare i progetti di Dio.

4. Come riconoscere la propria strada per la beatitudine?
·      non è facile trovare la strada della beatitudine, occorre coraggio, fede e costanza;
·      la quotidianità e i problemi che dobbiamo affrontare ci possono annebbiare la vista;
·      occorre fare fatica per riconoscere la giusta via;
·      l’esempio di Gesù è certamente un faro in questa “nebbia” e questo brano in particolare ci ricorda cos’è la vera beatitudine;
·      non è beato chi ha successo, fama e denaro, ma chi apre il suo mondo agli altri.

5. Essere sale e luce è una condizione permanente di vita o un compito da affrontare giorno per giorno? Come si può essere sale e luce nel mondo di oggi?
·      E’ una cosa difficile, da fare sì, giorno per giorno, ma dovrebbe arrivare ad essere una condizione permanente di vita;
·      per questo deve essere alimentato costantemente con la preghiera, spesso però si regredisce e si ha bisogno degli altri;
·      è necessario fermarsi e dare tempo al Signore per avere con lui un rapporto vero e proprio.
·      ascoltare e accogliere gli altri.

Riflessione di Don Domenico

Il Vangelo secondo Matteo, come tutti gli altri scritti del Nuovo testamento, è scritto in greco. Il testo non dice nulla a proposito dell’autore, ma il nome di Matteo compare nel racconto della chiamata di un funzionario che riscuoteva le imposte a Cafàrnao e nell’elenco dei dodici apostoli, dove è accompagnato dal soprannome «il pubblicano». Al capitolo 13,52 c’è un piccolo testo che è considerato la firma dell’autore: “Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche»”.

Matteo cura attentamente il suo stile, è chiaro e preciso nelle sue espressioni, usa un linguaggio raffinato e non trascura i piccoli particolari. La cosa più caratteristica è però il fatto che lui scrive dando un’interpretazione nuova a tradizioni preesistenti. Infatti si trovano espressioni e procedimenti letterari molto usati dagli ebrei della Palestina come per esempio: «il regno dei cieli», «la Legge e i Profeti», «legare e sciogliere», «prendere sopra di sé il giogo»;  insieme ai raggruppamenti numerici, molto in uso presso i giudei che hanno valore simbolico e rendono più facile imparare il testo a memoria. (Abbiamo ad esempio una serie di sette parabole. Sette sono anche le invettive contro i farisei e le domande del Padre nostro. I grandi discorsi sono cinque e le tentazioni tre). Ancora troviamo il parallelismo sinonimico o antitetico, cioè l’introduzione di formule parallele facili da ricordare («Avete inteso che fu detto… Ma io vi dico») e la ripetizione di determinate espressioni («Guai a voi, scribi e farisei»; « Tu invece»; «Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà»).

Da questo capiamo che i destinatari del vangelo sono giudeo-cristiani che vogliono prendere distanza dalle dottrine farisaiche e si sforzano di aprire progressivamente le porte ai pagani.

Il discorso della montagna è un lungo testo che raccoglie diversi detti della predicazione di Gesù. Matteo è attratto, più degli altri evangelisti sinottici, dagli insegnamenti di Gesù maestro. Li raggruppa in cinque discorsi, lunghi, densi di contenuto e molto più completi di quelli riportati da Marco o da Luca nei rispettivi Vangeli. Questi discorsi scandiscono e creano uno schema nel Vangelo e sono:

Il cosiddetto discorso della montagna, che si apre con le « beatitudini» e costituisce una specie di dichiarazione programmatica o di grande annuncio del regno di Dio (5-7). Un tema ricco e importante che seguiremo per due incontri.

Il discorso ai missionari, che raccoglie i consigli dati da Gesù ai discepoli inviati a predicare il regno di Dio (10). Tema che affronteremo in febbraio.

Le parabole del regno. Il regno è un mistero e non solo una legge nuova. Attraverso una serie di parabole Gesù ci rivela i misteri di Dio (13).

Il discorso ai responsabili della comunità, in cui si raccomanda vivamente la sollecitudine per i più piccoli, la fraternità e il perdono delle offese (18). Questo sarà il tema di maggio.

Il discorso sulla fine dei tempi, in cui risuona il pressante invito a vegliare in modo attivo e responsabile, dedicandosi al servizio dei più umili (24-25)

Il discorso della montagna è simile a una raccolta che fa Luca nel suo vangelo dicendo però che viene pronunciato in un luogo pianeggiante, per cui è conosciuto come il discorso della pianura.

Veniamo al nostro testo che si apre in modo molto solenne. Gesù è seduto in alto su una montagna. Accanto a lui i discepoli, che lo seguono costantemente, poco oltre la folla, che però non è la solita massa anonima, è formata sì da persone che vengono da ogni dove ma, soprattutto, sono persone che hanno già fatto una prima scelta, salgono le pendici della montagna per accogliere la nuova legge di Dio (Mosè aveva ricevuto la legge sulla montagna). E questa nuova legge si apre con le beatitudini che sono primariamente una proclamazione messianica: spesso i profeti hanno descritto il tempo messianico come il tempo dei poveri, dei perseguitati, degli affamati, degli inutili. Gesù proclama a parole ciò che vive con i fatti, questo tempo è giunto, infatti usa il presente, non il futuro come i profeti.

Non solo è arrivato, ma il regno è per tutti: nel Regno di Dio non ci sono vicini e lontani, non ci sono emarginati, anzi gli emarginati dal mondo sono i primi.

La cosa principale è però che Gesù ha vissuto le beatitudini.

Le singole beatitituni però sono più l’annuncio di un tema che lo svolgimento. È nel corso di tutto il vangelo che si comprende pienamente il senso di ciò che dice proclamando beati poveri, afflitti, puri di cuore.

Il povero in spirito è colui che percepisce se stesso in termini di gratuità e non di possesso. Una gratuità che diventa servizio.

Nel libro di Isaia i piangenti piangono le sorti di Gerusalemme, quindi la beatitudine ha a che fare con le sorti della chiesa. Soffrire per la mancanza di unità è associarsi alla sofferenza di Gesù.

I miti usano la forza della non violenza che è la forza di Dio.

Un mondo più giusto si può costruire solo se preparato in un’attesa sentita come un bisogno fisico

La misericordia è la caratteristica di Dio, lui perdona sempre, in modo incondizionato.

Puri di cuore sono coloro che hanno “bruciato tutti gli idoli”, hanno cuore generoso e occhio limpido.

Gesù, uomo di pace, ha portato una parola che divide, non ha esitato a diventare impopolare e solo.

Decidere per il Regno significa mettersi su una via di sofferenza e persecuzione, la via di Gesù.

A questo punto Gesù passa alla seconda persona: voi siete beati se farete così voi che siete sale e luce. Non dice che i discepoli devono essere sale e luce ma che sono già sale e luce. È vero si può essere sale insapore (il sale dei tempi di Gesù era poco raffinato, poco alla volta in fondo alla scatola restava solo della sabbia salata, più pesante del cloruro di sodio e quindi depositata sul fondo) e luce soffocata, ma siete già, ora. Il sale è confuso nei cibi e la luce serve a mostrare tutto il resto che non sia se stessa, è un richiamo forte all’umiltà e al non rinchiudersi nella piccola comuntà.

Discussione

Preghiera finale e cena condivisa.

Stralci di intervista rilasciata a Civiltà Cattolica da Papa Francesco.

«Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».

«La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio, corre sempre il pericolo di essere o troppo rigorista o troppo lasso. Nessuno dei due è misericordioso, perché nessuno dei due si fa veramente carico della persona. Il rigorista se ne lava le mani perché lo rimette al comandamento. Il lasso se ne lava le mani dicendo semplicemente “questo non è peccato” o cose simili. Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate».

«Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono

nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda:

“Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta». «Questa è anche la grandezza della Confessione: il fatto di valutare caso per caso, e di poter discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio e la sua grazia. Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo. Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è

risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?».

«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione». «Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali».

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