Parrocchia Di Collegara-San Damaso

25 settembre 2015

Collegare

Filed under: Collegare — Insieme @ 06:46

Bollettino della parrocchia di Collegara-San Damaso  Un foglio per in-formare la comunità

Ottobre 2015

Pronti? Via!

L’estate è finita!

Le giornate iniziano ad accorciarsi e appaiono le prime brume autunnali. Ci sono ancora giornate afose, ma i segnali sono chiari: stiamo camminiamo verso l’inverno, la stagione che anticamente faceva chiudere le persone nelle proprie case, rallentava i ritmi del lavoro perché la terra si riposava, le mucche non davano latte, i caseifici quindi non facevano il formaggio… dopo l’aratura e la semina e dopo l’ultimo grande impegno della vendemmia, si iniziava a prepararsi alle lunghe sere invernali, si sistemavano cantine e magazzini con i cibi per l’inverno, conserve e marmellate che portavano sulla tavola la frutta e le verdure dell’estate finita.

Queste immagini bucoliche però fanno parte del passato, un passato che anche noi ultracinquantenni stentiamo a ricordare. Per noi è con l’autunno che riprende il lavoro, ricominciano gli impegni di qualsiasi genere: professionale, sportivo, di studio…

Insomma l’estate è la piacevole pausa delle vacanze, più o meno lunghe, della libertà, del beach volley, del sole. È una pausa, un tempo diverso, uno spazio di libertà, ma la vita vera, la routine nella quale ci riconosciamo e in cui investiamo la maggior parte delle nostre energie inizia ora, con l’autunno.

È l’inizio dell’anno scolastico, dei campionati sportivi, dei reality e di vari programmi televisivi. In mezzo a tutto questo riprende anche il nostro anno pastorale.

Un anno che il Papa ha voluto dedicare alla Misericordia di Dio, quindi un anno di accoglienza, di perdono, di esperienze di comunione e condivisione. Un anno speciale che ci aiuti a convertire il nostro cuore, la nostra mente, la nostra vita.

Per essere speciale un anno deve essere diverso dagli altri, quindi anche noi faremo le cose in modo un po’ diverso. Non di più, non con maggior impegno e con ulteriori richieste, ma con un’attenzione tutta particolare a renderle esperienze di accoglienza e di comunione, di vera conversione.

Tutti abbiamo bisogno di conversione, tutti dovremmo chiederci: cosa accade tra Dio e noi, uomini e donne che vivono agli inizi del XXI secolo? Quali cammini imbocca Dio per raggiungerci e farci nascere alla sua vita? Quale invito fa alla sua Chiesa, per modificare la modalità tradizionale di credere e permettere un incontro autentico con lui?

Per questo abbiamo pensato di lavorare un po’ meno ma più insieme.

Insieme come adulti, insieme genitori e figli, insieme come persone diverse, con cammini diversi, ma appartenenti all’unica comunità umana e cristiana che vive nel territorio di Collegara-San Damaso.

Insieme vogliamo vivere l’Eucaristia, l’esperienza della misericordia, l’accoglienza e la carità, la festa…

Cambiando il nostro modo di essere comunità si cambia anche il nostro modo di trasmettere e testimoniare la fede e, forse, non ci sarà più bisogno di ‘lezioni’ che ci insegnino come si fa la prima comunione, ma soltanto di momenti di condivisione che fanno sperimentare l’essere in comunione.

Come sarà tutto questo?

Bellissimo, naturalmente! Soprattutto se ciascuno metterà qualcosa di suo.

Vi aspettiamo tutti: genitori dei bimbi di terza elementare, genitori di quarta, quinta, prima, seconda e terza media, insieme ai vostri figli e a tutti gli altri adulti che frequentano la nostra comunità, per iniziare il cammino di quest’anno.

Domenica 4 ottobre 2015, ore 9:30/9:45 davanti alla chiesa.

Coordinatori della catechesi, don Domenico

Preghiera dell’autunno

Signore, nostro Padre,

ti preghiamo perché noi e tutti gli uomini sappiamo riconoscere che tutto viene da te, e che ogni frutto della terra è un tuo dono.

Ti preghiamo anche perché quelli che lavorano sappiano condividere il frutto della loro fatica e nessuno tra di noi sia bisognoso. 

Ti chiediamo che i colori dell’autunno e la varietà dei frutti della terra ci aiutino a scoprire la bellezza e la bontà della creazione che tu ci hai affidato.

In questi giorni in cui

inizia l’autunno,

ci è molto facile ricordare che con il passare dei giorni il nostro essere esteriore declina e invecchia,

sappiamo però che il nostro essere interiore può dare ancora molti frutti:

fa’ che abbiamo sentimenti di compassione verso tutti e che scopriamo il limite e la dignità della nostra condizione umana, nell’attesa e nella speranza della tua venuta.

Tu che vivi e regni ora e nei secoli dei secoli.

Amen.

Sintesi della lettera del papa sul Giubileo della Misericordia

Al Venerato Fratello
Mons. 
Rino Fisichella
Presidente del Pontificio Consiglio
per la Promozione della Nuova Evangelizzazione

 

       La vicinanza del Giubileo Straordinario della Misericordia mi permette di focalizzare alcuni punti sui quali ritengo importante intervenire per consentire che la celebrazione dell’Anno Santo sia per tutti i credenti un vero momento di incontro con la misericordia di Dio. È mio desiderio, infatti, che il Giubileo sia esperienza viva della vicinanza del Padre, quasi a voler toccare con mano la sua tenerezza, perché la fede di ogni credente si rinvigorisca e così la testimonianza diventi sempre più efficace.

         Il mio pensiero va, in primo luogo, a tutti i fedeli che nelle singole Diocesi, o come pellegrini a Roma, vivranno la grazia del Giubileo. Desidero che l’indulgenza giubilare giunga per ognuno come genuina esperienza della misericordia di Dio, la quale a tutti va incontro con il volto del Padre che accoglie e perdona, dimenticando completamente il peccato commesso. Per vivere e ottenere l’indulgenza i fedeli sono chiamati a compiere un breve pellegrinaggio verso la Porta Santa, aperta in ogni Cattedrale o nelle chiese stabilite dal Vescovo diocesano, e nelle quattro Basiliche Papali a Roma, come segno del desiderio profondo di vera conversione.

È importante che questo momento sia unito, anzitutto, al Sacramento della Riconciliazione e alla celebrazione della santa Eucaristia con una riflessione sulla misericordia. Sarà necessario accompagnare queste celebrazioni con la professione di fede e con la preghiera per me e per le intenzioni che porto nel cuore per il bene della Chiesa e del mondo intero.

         Ho chiesto che la Chiesa riscopra in questo tempo giubilare la ricchezza contenuta nelle opere di misericordia corporale e spirituale. L’esperienza della misericordia, infatti, diventa visibile nella testimonianza di segni concreti come Gesù stesso ci ha insegnato. Ogni volta che un fedele vivrà una o più di queste opere in prima persona otterrà certamente l’indulgenza giubilare. Di qui l’impegno a vivere della misericordia per ottenere la grazia del perdono completo ed esaustivo per la forza dell’amore del Padre che nessuno esclude. Si tratterà pertanto di un’indulgenza giubilare piena, frutto dell’evento stesso che viene celebrato e vissuto con fede, speranza e carità.

         Confidando nell’intercessione della Madre della Misericordia, affido alla sua protezione la preparazione di questo Giubileo Straordinario.

 

Dal Vaticano, 1 settembre 2015

Francesco

Al termine di una conferenza intitolata “Cibo e sapienza del vivere” Enzo Bianchi consegna alcune indicazioni perché il cibo diventi per noi esperienza d’amore e insegnamento. L’Expo ha aperto un orizzonte sul quale dovremmo continuare a riflettere insieme.

I nove comandamenti “eucaristici”

Quotidianamente abbiamo fame e sete, e per questo mangiamo e beviamo: ma sappiamo trarre insegnamento da queste pulsioni che ci abitano? Fame e sete dovrebbero insegnarci, fornirci sapienza, indicarci alcune realtà necessarie per vivere la nostra vita come cammino che ci umanizzi sempre di più. Fame e sete ci fanno sentire la nostra condizione animale: sulla terra siamo una grande comunità che mangia e beve, e per questo vive. Dunque il pianeta, con le sue risorse, è una tavola imbandita per tutti.

Ma ascoltando fame e sete, come ognuno di noi si deve relazionare nei confronti del cibo? A conclusione di questa mia riflessione, vorrei indicare nove “comandamenti”, nove parole, nove urgenze eucaristiche, nel senso che trovano ispirazione nell’eucaristia, nel rendere grazie (eucharisteîn) a Dio, alla terra nostra madre, a tutte le creature e ai nostri fratelli e sorelle in umanità. Il modo di vivere l’azione del mangiare, lo stile del mangiare sono importanti quanto il cibo: non si vive di solo cibo, ma anche di ciò che il pane rappresenta e delle diverse mani che l’hanno preparato, confezionato. Il cibo è segno di comunione, trasfigurazione, semplicità e complessità, lavoro e arte. E soprattutto, è segno di amore.

Essere consapevoli di ciò che si mangia

Stupirsi e meravigliarsi sempre

Avere rispetto per il cibo

Al riguardo non si può evitare il lamento, in particolare da parte di chi, come me, dopo la guerra ha conosciuto tempi di penuria, scarsità di pane, ed era indotto dall’educazione ricevuta a venerare soprattutto il pane. Si prestava attenzione a che non cadesse per terra e, se succedeva, ci si faceva il segno della croce; non lo si metteva mai in tavola collocandolo in modo non nobile!

Rispetto per il cibo significa non avanzarne per capriccio o non lasciarne nel piatto, quasi per celebrare l’abbondanza o ostentare la ricchezza. Gli scarti, i cibi che finiscono tra i rifiuti sono una vergogna di tutto l’emisfero nord del pianeta: ciò che si butta basterebbe a sfamare quel miliardo di persone che soffrono fame e miseria. Rispetto per il pane significa dunque lotta contro lo spreco, volontà di utilizzare gli avanzi e, con ulteriori trasformazioni, renderli dei cibi che stupiscono e rallegrano.

Benedire e rendere grazie

Abitare la tavola, cioè esserci con tutta la propria persona, con il corpo ma anche con lo spirito.

Gustare con tutti i sensi

Mangiare con lentezza

Condividere il cibo

Appuntamenti

Sabato

26 settembre

Convegno catechisti

Si sentirono trafiggere il cuore”

(At 2,37)

Per un Vangelo del Secondo Annuncio nei passaggi di vita e di fede degli adulti.

Con

don Gianattilio Bonifacio

Biblista della Diocesi di Verona

Domenica

27 settembre

Ore 18:00

in Duomo

Ordinazione presbiterale


Tempo Ordinario 20 – 26 Settembre 2015

Filed under: Riflessioni — Insieme @ 06:34

 

Preghiera del mattino

Salmo 70. Grido di aiuto

O Dio, vieni in mio aiuto

affrettati a soccorrermi, Signore!

siano svergognati e restino confusi

quanti attentano alla mia vita.

Retrocedano coperti d’infamia

quanti desiderano il mio male

confusi ritornino indietro

quanti dichiarano: «Ti sta bene!»

Gioiscano ed esultino in te

tutti quelli che ti cercano

dicano sempre: «Dio è grande!»

gli amanti della tua salvezza.

Io sono un povero, un umiliato

o Dio, affrettati per me

sei tu il mio aiuto e il mio liberatore

Signore, non tardare più!

Vangelo

domenica Mc 9,30-37

lunedì Mt 9,9-13

martedì Lc 8,19-21

mercoledì Lc 9,1-6

giovedì Lc 9,7-9

venerdì Lc 9,18-22

sabato Lc 9,43-45

Silenzio

Invocazioni

R. Vieni presto, Signore!

Vieni a liberare gli oppressi dal male:

noi ti seguiremo e danzeremo per te.

Vieni ad aprire gli orecchi dei sordi:

noi potremo ascoltare e intendere la tua parola.

Vieni a sciogliere la lingua ai muti:

le nostre bocche si riempiranno di canti di lode.

Vieni a illuminare gli occhi dei ciechi:

noi ti contempleremo nella bellezza di ogni cosa.

Vieni a regnare sulla terra:

noi saremo consolati nella tua misericordia.

Preghiamo:

Signore del mondo

tu hai creato l’uomo a tua immagine

perché egli trovasse la piena libertà di amare:

accordaci di camminare oggi

in questa libertà alla quale ci inviti

affinché siamo tuoi figli

e fratelli di ogni uomo

in Gesù Cristo, nostro unico Signore.

– Amen.

Padre nostro

Preghiera della sera

Salmo 75. Inno al Signore giudice

Ti confessiamo, o Dio, ti confessiamo

vicino a noi è il tuo Nome,

raccontiamo le tue meraviglie.

«Sì, nell’ora che ho fissato

io giudicherò con giustizia

tremino la terra e i suoi abitanti

io tengo salde le sue fondamenta.

«Agli arroganti dichiaro: Ora basta!

ai malvagi: Non alzate la fronte!

non sollevate la fronte verso l’Altissimo

non parlate con atteggiamento arrogante!»

Non dall’oriente e neppure dall’occidente

non dal deserto e neppure dai monti

ma da Dio viene il giudizio

lui solo abbassa e innalza.

Nella mano del Signore c’è una coppa

ricolma di vino drogato

la versa per i malvagi della terra

la berranno e ne sorbiranno la feccia.

Ma io annuncerò per sempre

cantando il Dio di Giacobbe:

«Curverò le fronti degli empi

si leveranno le fronti dei giusti».

Lettura

domenica Sap 2,12.17-20

lunedì Ef 4,1-7.11-13

martedì Esd 6,7-8.12.14-20

mercoledì Esd 9,5-9

giovedì Ag 1,1-8

venerdì Ag 1,15-2,9

sabato Zc 2,5-9.14-15

Silenzio

Invocazioni

R. Ravviva la mia vita, Signore!

Quando mi sento povero e bisognoso concedimi, Signore, di donare tutto ciò che possiedo.

Quando mi sento solo e abbandonato concedimi, Signore, di mendicare la comunione con ogni essere vivente.

Quando mi sento giudicato e condannato concedimi, Signore, di usare misericordia verso tutti.

Quando mi sento peccatore e oppresso dalla colpa

concedimi, Signore, di alzare gli occhi verso di te.

Quando mi sento non amato e incompreso concedimi, Signore, di credere all’amore che non attende contraccambio.

Quando mi sento vecchio e senza forze concedimi, Signore, di ricominciare ancora il cammino.

Quando mi sentirò la morte ormai vicina concedimi, Signore, di consegnare la mia vita agli uomini che ho amato.

Preghiamo:

Padre santo, noi ti ringraziamo di averci manifestato oggi la tua misericordia: essa si estenda su coloro che si sono raccomandati alle nostre preghiere e porti ad essi la tua pace affinché insieme con noi ti cantino e ti riconoscano pieno di amore in Gesù Cristo tuo Figlio, nostro Signore.

– Amen.

Padre nostro

Tempo Ordinario

20 – 26 settembre 2015

Preghiera del mattino

Salmo 70. Grido di aiuto

O Dio, vieni in mio aiuto

affrettati a soccorrermi, Signore!

siano svergognati e restino confusi

quanti attentano alla mia vita.

Retrocedano coperti d’infamia

quanti desiderano il mio male

confusi ritornino indietro

quanti dichiarano: «Ti sta bene!»

Gioiscano ed esultino in te

tutti quelli che ti cercano

dicano sempre: «Dio è grande!»

gli amanti della tua salvezza.

Io sono un povero, un umiliato

o Dio, affrettati per me

sei tu il mio aiuto e il mio liberatore

Signore, non tardare più!

Vangelo

domenica Mc 9,30-37

lunedì Mt 9,9-13

martedì Lc 8,19-21

mercoledì Lc 9,1-6

giovedì Lc 9,7-9

venerdì Lc 9,18-22

sabato Lc 9,43-45

Silenzio

Invocazioni

R. Vieni presto, Signore!

Vieni a liberare gli oppressi dal male:

noi ti seguiremo e danzeremo per te.

Vieni ad aprire gli orecchi dei sordi:

noi potremo ascoltare e intendere la tua parola.

Vieni a sciogliere la lingua ai muti:

le nostre bocche si riempiranno di canti di lode.

Vieni a illuminare gli occhi dei ciechi:

noi ti contempleremo nella bellezza di ogni cosa.

Vieni a regnare sulla terra:

noi saremo consolati nella tua misericordia.

Preghiamo:

Signore del mondo

tu hai creato l’uomo a tua immagine

perché egli trovasse la piena libertà di amare:

accordaci di camminare oggi

in questa libertà alla quale ci inviti

affinché siamo tuoi figli

e fratelli di ogni uomo

in Gesù Cristo, nostro unico Signore.

– Amen.

Padre nostro

Preghiera della sera

Salmo 75. Inno al Signore giudice

Ti confessiamo, o Dio, ti confessiamo

vicino a noi è il tuo Nome,

raccontiamo le tue meraviglie.

«Sì, nell’ora che ho fissato

io giudicherò con giustizia

tremino la terra e i suoi abitanti

io tengo salde le sue fondamenta.

«Agli arroganti dichiaro: Ora basta!

ai malvagi: Non alzate la fronte!

non sollevate la fronte verso l’Altissimo

non parlate con atteggiamento arrogante!»

Non dall’oriente e neppure dall’occidente

non dal deserto e neppure dai monti

ma da Dio viene il giudizio

lui solo abbassa e innalza.

Nella mano del Signore c’è una coppa

ricolma di vino drogato

la versa per i malvagi della terra

la berranno e ne sorbiranno la feccia.

Ma io annuncerò per sempre

cantando il Dio di Giacobbe:

«Curverò le fronti degli empi

si leveranno le fronti dei giusti».

Lettura

domenica Sap 2,12.17-20

lunedì Ef 4,1-7.11-13

martedì Esd 6,7-8.12.14-20

mercoledì Esd 9,5-9

giovedì Ag 1,1-8

venerdì Ag 1,15-2,9

sabato Zc 2,5-9.14-15

Silenzio

Invocazioni

R. Ravviva la mia vita, Signore!

Quando mi sento povero e bisognoso concedimi, Signore, di donare tutto ciò che possiedo.

Quando mi sento solo e abbandonato concedimi, Signore, di mendicare la comunione con ogni essere vivente.

Quando mi sento giudicato e condannato concedimi, Signore, di usare misericordia verso tutti.

Quando mi sento peccatore e oppresso dalla colpa

concedimi, Signore, di alzare gli occhi verso di te.

Quando mi sento non amato e incompreso concedimi, Signore, di credere all’amore che non attende contraccambio.

Quando mi sento vecchio e senza forze concedimi, Signore, di ricominciare ancora il cammino.

Quando mi sentirò la morte ormai vicina concedimi, Signore, di consegnare la mia vita agli uomini che ho amato.

Preghiamo:

Padre santo, noi ti ringraziamo di averci manifestato oggi la tua misericordia: essa si estenda su coloro che si sono raccomandati alle nostre preghiere e porti ad essi la tua pace affinché insieme con noi ti cantino e ti riconoscano pieno di amore in Gesù Cristo tuo Figlio, nostro Signore.

– Amen.

Padre nostro

Vangelo E Commento Domenica 20 Settembre

Filed under: Vangelo — Insieme @ 06:30
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Dal Vangelo secondo Marco 9,30-37.
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.
Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà».
Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.
Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?».
Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.
Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
«Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

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XXV Tempo ordinario.

Una vita sconvolta

Il racconto di oggi mette in evidenza un progressivo aumento d’intimità fra Gesù e le persone che gli stanno intorno. Con lui ci sono i discepoli, che non sono solo i Dodici, ma un gruppetto più eterogeneo di cui fanno parte anche alcune donne, forse con i figli, visto che ad un certo punto compare, misteriosamente un bambino.

All’inizio del racconto si trovano in Galilea, una regione marginale, cercando di rimanere il più possibile in incognito. Gesù dà un insegnamento difficile, rivolto a persone ‘iniziate’, cioè che hanno già fatto tanta strada con lui, che sono pronti ad un approfondimento della propria storia di fede. Hanno bisogno di starsene per conto proprio, quindi camminano su strade deserte. Poi si entra in casa, lontano da orecchie indiscrete e qui Gesù pone una domanda personale, che smaschera i desideri di ciascuno. I discepoli sono qui descritti come persone che tacciono per paura: hanno paura di interrogare Gesù per farsi spiegare meglio ciò che annuncia, hanno paura di rivelare ciò di cui stanno parlando, meglio tacere piuttosto che capire di più e doversi assumere una maggiore responsabilità, meglio tacere che aprire un conflitto, fingiamo che tutto vada bene.

Meglio non comprendere il fatto che Gesù sarà consegnato nelle mani degli uomini. È un esito sgradevole, inaccettabile. Qualsiasi critica ci fa soffrire, anche quelle fatte con affetto, con desiderio di aiutare a crescere, figuriamoci l’idea di essere consegnati ad un giudizio ingiusto a cui fa seguito una condanna. È giustificabile l’incomprensione e la paura dei discepoli. La paura è un sentimento umano, qualcosa che abita in noi in modo in modo anche un po’ irrazionale. Non dobbiamo vergognarci di avere paura, però non si può consegnare la propria vita alla paura. Tutti noi, prima o poi, siamo ‘presi e consegnati’ a qualcosa che non vorremmo, che non ci piace, che non possiamo amare. Che sia una malattia, un lavoro che ci umilia, un rifiuto da parte di qualcuno… il vangelo però indica una via di assunzione coraggiosa e libera di ciò che la vita ci pone davanti, soprattutto se è una conseguenza della decisione di seguire Gesù. Seguire Gesù significa incamminarsi nella via della giustizia e, come ci ricorda la prima lettura, il giusto dà fastidio, con la sua vita onesta ci giudica, quindi viene sempre osteggiato e, a volte, condannato.

Non possiamo negare che seguire Gesù sia un cammino difficile! Gesù però non demorde nella sua volontà di insegnare ai discepoli e continua il suo percorso di approfondimento dell’intimità per rendere i discepoli più consapevoli del significato della scelta di seguirlo: entrato in casa si siede, chiama vicino a sé i Dodici, che evidentemente pure stando nella stessa stanza sono distanti e, con pazienza, riprende a spiegare il suo stile, lo stile di Dio. Il primo richiamo riguarda la rinuncia ad ogni pretesa di rango. Nel cuore di tutti esiste il desiderio di primeggiare, dentro di noi ci guardiamo allo specchio domandando chi è ‘la più bella del reame’, oppure facciamo ‘braccio di ferro’ con chi vive insieme a noi. Lo ricorda in modo chiarissimo la seconda lettura: “dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni … Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!”. Gesù allora usa l’opposizione fra essere primo ed essere ultimo di tutti e servo di tutti. Chi si fa ultimo di tutti e servo di tutti ha lo stesso atteggiamento di Gesù e si colloca davanti agli altri perché segue Gesù più da vicino. “Farsi ultimo e servo” equivale a “rinnegare se stesso”, rinunciando ad ogni ambizione egoista, che è prima condizione della sequela espressa nel vangelo di domenica scorsa.

E perché il messaggio sia comunicato anche con un altro registro Gesù compie un gesto, l’abbraccio a questo bambino misterioso che si trova lì con loro. Il bambino, simbolo degli ultimi, perché al tempo di Gesù non contavano, erano utilizzati come servitori, trascurati e non ascoltati, viene messo al centro, al posto di Gesù perché Gesù prende il posto dell’ultimo, di colui che serve.

Facendo questo gesto Gesù parla di accoglienza, un termine molto usato nel vangelo di Marco. Si parla di accogliere i missionari la Parola, il Regno, i piccoli. Accoglienze diverse ma sempre frutto di ascolto, di disponibilità, di ospitalità, di capacità di lasciare sconvolgere la propria vita per mettere al centro l’altro, di porsi a servizio. Solo così si vive pienamente la sequela di Gesù, una sequela difficile, che passa indubbiamente attraverso la croce e la morte, ma questa è la via della risurrezione.

Vangelo e commento di don Domenico Malmusi

6 aprile 2015

Triduo Pasquale Vangeli E Commenti

Filed under: Vangelo — Insieme @ 09:36
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Armadio Degli Argenti, lavanda dei piedi. Da un disegno di Beato Angelico

Armadio Degli Argenti, lavanda dei piedi. Da un disegno di Beato Angelico

Dal Vangelo secondo Giovanni 13,1-15

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Mentre cenavano, quando gia il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo,
Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava,
si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita.
Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?».
Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo».
Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me».
Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!».
Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti».
Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi».
Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto?
Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono.
Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.
Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi».

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Giovedì santo

Una vita donata

Le prescrizioni pasquali libro dell’Esodo, la memoria eucaristica che Paolo fa ai cristiani di Corinto e il vangelo della lavanda dei piedi ci hanno raccontato gli aspetti essenziali della Pasqua del Signore che, attraverso la liturgia dovremmo comprendere e approfondire sempre un po’ di più di anno in anno.

Nella seconda lettura Paolo dice: “Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso”. Questa cosa è importante perché ci dice che l’eucaristia non è qualcosa che la chiesa si è inventata, che si è data come precetto, ma è un gesto, un’azione che viene direttamente dal Signore e che così deve essere trasmessa.

Certo non possiamo limitarci a compiere il gesto, occorre andare profondamente dentro al significato: quel gesto avviene in un contesto molto particolare, nella notte in cui Gesù veniva tradito, e non soltanto da Giuda. Anche Pietro lo rinnega, gli altri fuggono tutti, è una notte di sfacelo, di rottura di tutti i legami comunitari. Nel vangelo si parla di amicizia e di fraternità, ma è sconvolgente pensare che l’eucaristia viene istituita proprio nel momento più fallimentare. In quella notte Gesù consegna il gesto del pane e del vino, consegna le parole che lo spiegano, consegna il significato esistenziale profondo attraverso il segno dalla lavanda dei piedi: tutto il culmine del suo affetto e della sua volontà di restare in alleanza viene celebrato proprio nella notte che smentisce l’alleanza.

Gesù sa molto bene di cosa siamo capaci tutti noi: di tradire, di rinnegare, di abbandonare. Eppure vuole fortemente fare questo gesto di comunione e di alleanza. Dunque celebra questa nuova alleanza a tavola, perché condividere il pasto è una delle esperienze umane più importanti e quotidiane. Già la pasqua ebraica era celebrata nella condivisione del pasto e Gesù riparte proprio da lì. C’è un pasto che è celebrazione dell’alleanza, il gesto più significativo è spezzare il pane, perché è il modo per poterlo condividere. Gesù allora prende il pane, cioè lo riceve, pronuncia un ringraziamento che è lode e benedizione a Dio, poi lo spezza. Quel pane è un dono ricevuto, ma non per trattenerlo per sè, è dono che va spezzato e condiviso, cioè distribuito a tutti quelli che stanno attorno alla tavola, in modo che tutti condividano lo stesso pane. In questo modo Gesù costituisce la comunità della tavola, di quelli che partecipano allo stesso pane, che sono partecipi alla comunione.

A tavola con Gesù non ci sono giusti, non ci sono persone degne. I vangeli raccontano spesso di Gesù a tavola: spezza il pane con Marta e Maria, con gli amici di Levi e con Zaccheo, entrambi pubblicani, con farisei e donne di malaffare, con le folle affamate e incapaci di capire cosa diceva e faceva… è stato a tavola con persone di ogni genere, ma sempre peccatori! Anche i discepoli, in questo ultimo pasto sono solo dei peccatori: hanno in cuore di tradirlo, di rinnegarlo, di abbandonarlo.

L’eucaristia che celebriamo è il memoriale di quel primo rito eucaristico, una comunione di donne e di uomini chiamati dal peccato, dalla condizione di peccatori, per essere alla tavola del Signore, per essere corpo di Cristo, perché la sua vita diventi la nostra vita.

Il tema della vita è ripreso anche dalle parole sul calice: Gesù dice che quel calice contiene il suo sangue, il sangue della nuova alleanza, quella definitiva che Dio aveva promesso dopo che il popolo aveva rotto quella precedente. È importante però comprendere che quel sangue non è un sacrificio rituale, come si faceva nel tempio uccidendo un agnello. Il sangue è la vita, la vita che scorre, la vita nel senso più esistenziale del termine. Gesù ha offerto la vita, la sua esistenza terrena. Certamente il culmine di questa sua offerta è la croce, ma questa è soltanto la logica conclusione una vita completamente donata, di una intera esistenza vissuta come offerta a Dio e agli uomini. Il sangue è tutta la vita di Gesù, tutta la sua vita umana che è stata un sacrificio esistenziale, una vita di servizio, di cura, di “amore fino alla fine” dei suoi fratelli e delle sue sorelle.

Il gesto che spiega tutto questo è raccontato da Giovanni come gesto di servizio umile e intimo, è il gesto che dobbiamo imitare, secondo le parole di Gesù stesso, ma possiamo farlo solo se prima ne riconosciamo la portata. Il primo aspetto da comprendere è che questa comunione di vita con Gesù è offerta a tutti: a Giuda che lo tradiva, a Pietro che lo rinnegava, a quei discepoli lenti a capire e senza il coraggio di dire la propria appartenenza a Gesù, e questa sera è offerta a noi. Siamo noi gli invitati, peccatori chiamati e amati dal Signore. Il secondo è riconoscere che questa vita ricevuta deve essere condivisa, il dono è sempre per tutti, così come ha fatto lui facciamo anche noi.

Commento di don Domenico Malmusi

SMM-noli-l

Dal Vangelo secondo Marco 16,1-7.
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù.
Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole.
Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?».
Ma, guardando, videro che il masso era gia stato rotolato via, benché fosse molto grande.
Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura.
Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto.
Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto».
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Pasqua veglia

Non abbiate paura

Nei venerdì di quaresima abbiamo riletto le cinque letture che precedono il vangelo in questa lunga e bellissima veglia pasquale. È stato importante dedicare una serata intera ad ognuno di questi testi, che sono così ricchi e così importanti per la storia della salvezza.

Una storia che non è frutto del caso ma di una precisa volontà di Dio, che ha desiderato, voluto e amato questo mondo e in particolare l’uomo, il frutto più bello e dolce di tutta la creazione. L’uomo che può fidarsi di Dio, come Abramo, attraverso un cammino a volte molto difficile, costellato di prove molto dure ma soprattutto segnato dalla presenza di Dio che come un liberatore interviene nella storia degli uomini. Dio, il cui amore è più forte della morte, non si è accontentato di annunciare questa verità ma ha voluto essere uno di noi. Dio si è spogliato della sua divinità e in Gesù è diventato un uomo, un uomo fra gli uomini che è nato, è cresciuto, è vissuto, è morto, proprio come ogni uomo. Un uomo che però era Dio e che è morto per far morire la morte e aprire a noi le porte della vita.

Ma accogliere e accettare questo percorso di vittoria della morte non è facile: la morte continua ad essere l’esperienza più drammatica della nostra vita, una separazione che spesso sentiamo come definitiva, insanabile.

Anche i discepoli la sentivano così. I discepoli uomini, da veri duri, coraggiosi, sono fuggiti. Le discepole donne si sono rassegnate e, al mattino del primo giorno dopo il sabato, vanno alla tomba per fare quelle unzioni tipiche della cultura mediorientale sul cadavere di quell’uomo che avevano seguito, amato e riconosciuto come profeta. Hanno preoccupazioni molto umane, molto pratiche durante il loro cammino. Spesso pensare alle cose pratiche ci aiuta a vincere il dolore, ci permette di non arrovellarci su domande non possono avere una risposta.

Ma, alzando gli occhi, le donne vedono che la pietra è già stata rotolata via, che la tomba è aperta. In pochi istanti, probabilmente, mille pensieri affollano le menti di quelle discepole, che comunque si comportano da donne coraggiose, desiderose di conoscere la verità e il senso di quella tomba aperta. Entrano insieme e trovano una grande sorpresa: non Gesù morto o vivo che sia, ma un giovane, vestito di bianco che dà loro la notizia incredibile: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto”.

In queste poche parole c’è il cuore della nostra fede: il Crocifisso è risorto. La croce e la gloria sono i due aspetti inscindibile dello stesso mistero, le due facce della stessa medaglia. Non basta dire che la vita ha trionfato sulla morte, non è sufficiente riconoscere che Dio può far tornare dai morti. Ricordare la croce, fare memoria di questo strumento di morte significa riconoscere che la risurrezione è la vittoria dell’amore sulla morte. Solo una vita totalmente donata nell’amore vince la morte. Gesù non risorge perché era Dio, o perché il Padre lo ha miracolato, o per qualsiasi altro motivo legato al suo essere divino. Gesù risorge perché è stato crocifisso, perché ha saputo andare fino in fondo a quel dono d’amore che giovedì sera abbiamo celebrato: “Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. È l’aver amato fino alla fine che ha aperto la via della risurrezione.

La Pasqua allora per noi non è semplicemente la commemorazione di un evento grandioso, ma la celebrazione di un modo di vivere: Se siamo risorti con Cristo cerchiamo le cose di lassù, cioè viviamo come lui, dice Paolo ai cristiani di Colossi, viviamo una vita fatta di dono nella libertà e per amore. Nella filosofia e anche nella psicologia si associano spesso amore e morte, éros e thánatos, ma l’annuncio cristiano associa invece amore e risurrezione, perché l’amore è più forte della morte, l’amore è risurrezione.

Davanti all’annuncio del giovane nel sepolcro però le donne ammutoliscono. Davanti alla croce l’uomo ha paura e tace, ma anche davanti alla risurrezione l’uomo ha paura e tace. Non c’è nulla di strano in questo, la bibbia ci ricorda molto spesso che davanti alle grandi manifestazioni di Dio l’uomo ha paura e tace, per questo gli annunci iniziano spesso, come oggi, con le parole: “Non abbiate paura!”. La paura blocca, paralizza, rende sordi e muti, incapaci di mostrare la propria fede. Non abbiate paura voi, l’amore è più forte della morte, Gesù è la nostra prova, e noi possiamo viverlo e annunciarlo.

Commento di don Domenico Malmusi

Giotto - Ressurezione, Noli me tangere, Padova cappella degli Scrovegni

Giotto – Ressurezione, Noli me tangere, Padova cappella degli Scrovegni

Dal Vangelo Giovanni 20,1-9.
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro.
Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.
Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra,
e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.

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Pasqua giorno

Cristo è risorto

L’annuncio di Pasqua che risuona gioioso nelle nostre chiese: “Il Signore è risorto”, non è certo lo stesso annuncio che circolava fra i discepoli nel giorno della risurrezione. Un giorno certamente determinante, ma altrettanto certamente non il giorno della fede piena, vera. La fede richiede sempre un percorso, c’è sempre un cammino da fare per credere e questo cammino, come ogni cammino, non è sempre uguale, a volte è lento e tranquillo come una passeggiata, altre volte è trascinato e faticoso come quando si trasporta un peso, altre volte è energico pieno di entusiasmo, altri tratti sono più concitati, ansiosi, guidati dalla fretta e dalla paura.

Questo è il tratto di cammino che si trovano a percorrere Maria, Pietro, Giovanni e, in qualche modo anche gli altri discepoli, nel giorno della risurrezione. Il racconto è pieno di agitazione e turbamento, caratterizzato dalla corsa e da un continuo entrare e uscire dai luoghi più diversi: Maria giunge al sepolcro, poi corre e giunge da Pietro che esce con un altro che giunge prima al sepolcro ma non entra, giunge Pietro ed entra, poi entra l’altro… c’è davvero un grande movimento in questo racconto, il movimento della fede. Si può credere solo se si è in movimento. Maria si muove, certo è mossa da un affetto che sa ancora di morte seppure, forse inconsciamente, annuncia l’assenza di Gesù non come il trafugamento di un cadavere ma come l’assenza di un vivente: “Hanno portato via il Signore…”. Ci sono intuizioni nella vita che hanno bisogno di tempo per diventare coscienti, ma che sono già un inizio. Poi il racconto mostra che il movimento coinvolge anche altri. Sempre! L’annuncio di Maria non è l’annuncio vero pasquale, eppure mette in moto altri, la ricerca diventa comune. Noi giungiamo insieme alla fede. Con tempi diversi, con percorsi più o meno tortuosi ma insieme, nella comunità.

Il primo passo per giungere alla fede, per credere alla risurrezione è quello di uscire, come fa Pietro. Uscire da noi stessi, dalle nostre convinzioni, dalle nostre abitudini, dalle nostre tristezze, dalle durezze. Ma questo è solo l’inizio, tant’è che il vangelo (al v 10) annota che i discepoli tornarono di uovo a casa, proprio al punto di partenza. Sappiamo poi che quella casa resterà sbarrata per molto tempo ancora, sentiremo domenica prossima la storia di Tommaso e il suo percorso di fede, dovremo aspettare pentecoste perché la casa non sia più il luogo delle chiusure e delle durezze.

Occorre uscire da sé, ma anche avere il coraggio di entrare nel sepolcro. L’entrare nel sepolcro da parte di Pietro e poi di Giovanni non è semplicemente la cronaca dell’evento ma una chiara indicazione simbolica: occorre saper affrontare il luogo della morte. La nostra vita è segnata da moltissimi ‘luoghi di morte’, il lutto, la separazione, l’abbandono, la fine di relazioni e di amicizie, l’incapacità di comunicare, sono tutte situazione che fanno entrare in noi la morte, cioè la tristezza, la disillusione, la rabbia e ci rendono a nostra volta luoghi di morte, comunicatori di amarezza. Bisogna entrare nelle situazioni di morte sapendo guardare oltre la morte e vivendo la risurrezione, che è molto di più che una generica fiducia nella vita o nella primavera che rinasce. La fede nella risurrezione è caratterizzata dal credere che la vita nasce dalla morte grazie alla forza dell’amore di Gesù Cristo. Amando, o almeno cercando di amare, come lui, fidandosi del suo amore per noi possiamo entrare nella dinamica della risurrezione.

L’ultimo aspetto che emerge da questo racconto è l’importanza del vedere. Anche il verbo vedere è ripetuto molte volte nel racconto, fa parte del movimento che abbiamo già visto. Ma il vedere non è sempre uguale: c’è un vedere la pietra ribaltata, che fa nascere dubbi di trafugamento, c’è un vedere le bende che non permette di entrare, un vedere il sudario in modo semplicemente razionale e, infine un vedere per la fede: “Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”. Anche questo però è solo un inizio di fede, per completare il cammino occorre la comprensione delle scritture! La consapevolezza di essere amati da Gesù, questo che vede e crede è il discepolo amato, e la fede nelle scritture sono i due elementi che consentono di fare il salto della fede.

Il discepolo amato vede le stesse cose che vedono gli altri, i segni dell’assenza, ma la certezza dell’amore di Gesù lo rende capace di vivere “l’intimità della sua assenza ardente” rubando le parole a R. M. Rilke, il più grande poeta di lingua tedesca dell’età moderna. Cercare l’assente, vedere colui che è invisibile sono caratteristiche che anche oggi permettono la ricerca del Signore. L’assenza di Dio da motivo di lamento deve passare a una condizione di ricerca. E, con la Scrittura letta e compresa nella comunità e con la comunità, diventa fede matura capace di annunciare a tutti: Cristo è risorto, è veramente risorto.

Commento di don Domenico Malmusi

Ottava di Pasqua 5 – 11 Aprile 2015

Filed under: Senza categoria — Insieme @ 09:07

 

Preghiera del mattino

Salmo 118. Cantico di ringraziamento

Rendete grazie al Signore: egli è buono

il suo amore è per sempre!

Israele dunque proclami:

«Il suo amore è per sempre!»

la stirpe di Aronne proclami:

«Il suo amore è per sempre!»

i credenti nel Signore proclamino:

«Il suo amore è per sempre!»

Nella mia angoscia ho gridato al Signore

il Signore mi ha risposto e liberato

il Signore è con me, non ho paura

cosa può farmi un uomo?

il Signore è con me per aiutarmi

mi ergerò sui miei nemici.

È meglio rifugiarsi nel Signore

che confidare nell’uomo

è meglio rifugiarsi nel Signore

che confidare nei potenti.

Gli idolatri mi hanno circondato

nel Nome del Signore li ho annientati

mi hanno attorniato e circondato

nel Nome del Signore li ho annientati.

Mi hanno attorniato come vespe

nel Nome del Signore li ho annientati:

sono arsi come rovi nel fuoco.

Mi hanno spinto per farmi cadere

ma il Signore mi ha aiutato

mia forza e mio canto è il Signore

è lui la mia salvezza.

Grida di gioia e salvezza nelle tende dei giusti:

«La destra del Signore fa prodigi

la destra del Signore si innalza

la destra del Signore fa prodigi!»

Sono sfuggito alla morte e vivrò

per annunciare le azioni del Signore

mi ha provato, il Signore mi ha provato

ma alla morte non mi ha abbandonato.

Apritemi le porte di giustizia

entrerò per ringraziare il Signore:

«È questa la porta del Signore

per essa entrano i giusti»,

ti ringrazio perché mi hai esaudito

sei stato tu la mia salvezza!

«La pietra rigettata dai costruttori

è diventata pietra angolare»:

questo è stato fatto dal Signore

una meraviglia davanti ai nostri occhi,

questo è il giorno fatto dal Signore

esultiamo e rallegriamoci in lui.

Signore, ti preghiamo, dona la salvezza!

Signore, ti preghiamo, porta il compimento!

benedetto il veniente nel Nome del Signore!

Noi vi benediciamo dalla dimora del Signore!

Dio il Signore ci illumina:

«Rami in mano, formate il corteo fino ai lati dell’altare».

Tu sei il mio Dio e ti ringrazio

il mio Dio e ti esalto

rendete grazie al Signore perché è buono

il suo amore è per sempre!

Vangelo

domenica Gv 20,1-9

lunedì Mt 28,8-15

martedì Gv 20,11-18

mercoledì Lc 24,13-35

giovedì Lc 24,35-48

venerdì Gv 21,1-14

sabato Mc 16,9-15

Silenzio

Invocazioni

R. Gloria a te, Cristo risorto!

Benedetto sei tu che hai vissuto la nostra esistenza: salito in cielo hai portato con te la nostra umanità l’hai resa santa, gloriosa, immortale.

Benedetto sei tu, il Vivente per sempre: la potenza del tuo ricordo ci riunisce lo Spirito santo ci ricorda le tue parole.

Con gioiosa certezza noi ti sappiamo presente: tu sei in mezzo a noi quando leggiamo Mosè, i Profeti, e i Salmi, quando spezziamo il pane e beviamo ad un unico calice.

Il tuo Spirito ci consola al cuore delle nostre vicende: in te ogni assenza diventa presenza ogni separazione per te è promessa di nuova comunione.

La tua luce pasquale si leva al di là della morte: in te si rinnova la nostra giovinezza per te restiamo in attesa nella speranza del regno.

Preghiamo:

Signore Dio, questo è il giorno che tu hai fatto affinché ci rallegriamo ed esultiamo in te. All’aurora tu hai rivelato alle donne venute alla tomba il volto splendente di tuo Figlio risorto: dissipa la nostra tristezza davanti alla morte e concedici di riconoscere colui che sale a te suo Padre e nostro Padre nei secoli dei secoli! – Amen.

Padre nostro

Preghiera della sera

Salmo 110. Il Messia re e sacerdote

Oracolo del Signore al mio Signore:

«Siedi alla mia destra

finché non metterò i tuoi nemici

a sgabello dei tuoi piedi!»

Il Signore ti manda da Sion

lo scettro del tuo potere:

domina in mezzo ai tuoi nemici!

Il tuo popolo si offre a te

nel giorno del tuo potere

negli splendori del Santo, dal seno dell’aurora

a te la rugiada della tua giovinezza.

Il Signore l’ha giurato per sempre

e non si pentirà:

«Tu sei sacerdote in eterno

al modo di Melkisedek».

Il mio Signore sta alla tua destra

abbatterà i re

venuto il giorno della sua collera

giudicherà le genti.

Schiaccerà la testa che domina la terra

passerà tra cadaveri

in cammino berrà dalla fonte

terrà alto il capo.

Lettura

domenica At 10,34a.37-43

lunedì At 2,14.22-33

martedì At 2,36-41

mercoledì At 3,1-10

giovedì At 3,11-26

venerdì At 4,1-12

sabato At 4,13-21

Silenzio

Invocazioni

R. Signore, ascolta!

Presso la tomba vuota hai affidato alle donne l’annuncio pasquale: libera dalla paura i messaggeri dell’Evangelo.

Sul cammino di Emmaus hai spiegato ai discepoli la Legge e i Profeti: apri la nostra mente all’intelligenza delle Scritture.

Nella camera alta hai consegnato la pace ai tuoi amici: aiutaci a custodire la pace con l’amore del nemico.

Sulla riva del lago hai fatto di Pietro il pastore delle tue pecore: sostieni con il tuo Spirito la guida della nostra comunità.

Sul monte indicato hai radunato i discepoli dispersi: dona l’unità nella fede e nella carità ai credenti in te.

Preghiamo:

Dio onnipotente, attraverso la croce di tuo Figlio tu ci hai rivelato il tuo amore

e attraverso la sua debolezza la tua potenza: la luce del Risorto illumini i nostri occhi e noi sapremo riconoscere nei più umili i tratti dell’Agnello pasquale, Gesù Cristo. Esaudiscici nel tuo amore per i secoli dei secoli.- Amen.

Padre nostro

24 marzo 2015

Vangelo E Commento Domenica 22 Marzo – 5a Domenica

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Don Giovanni Gilli - Gesù Crocifisso

Don Giovanni Gilli – Gesù Crocifisso

Dal Vangelo secondo Giovanni 12,20-33.
Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c’erano anche alcuni Greci.
Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.
Gesù rispose: «E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo.
In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna.
Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà.
Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!
Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!».
La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato».
Rispose Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi.
Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori.
Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me».
Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.

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5a Domenica

Se il chicco di grano…

Siamo ormai alla fine della nostra quaresima, domenica prossima, con la celebrazione delle palme entriamo nella settimana di Passione, e il vangelo ci prepara a questa grande settimana proponendo una riflessione sulla morte di Gesù.

Il racconto è ambientato nel tempio di Gerusalemme, dove Gesù vive la sua terza Pasqua come Maestro autorevole. Ha fatto il suo ingresso solenne come Messia riconosciuto ed è ormai noto che i sommi sacerdoti hanno preso la decisione di condannarlo a morte, perché preoccupati del successo che lo accompagna. Un segno di questo successo è anche il fatto che ‘alcuni greci’ cioè stranieri simpatizzanti o neoconvertiti all’ebraismo vogliono conoscerlo.

Questi avvicinano Filippo, che ha un nome greco e viene da un paese sul confine, quindi pensano che sia un po’ più aperto degli altri ebrei, che non incontrano volentieri i pagani. Filippo è un po’ titubante, va a riferirlo ad Andrea, uno dei discepoli più intimi di Gesù, poi, insieme, i due decidono di presentare la richiesta a Gesù. La sua risposta però è molto strana: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». È difficile capire se sia un sì o un no questo discorso. In realtà, se ascoltiamo bene, la risposta è un sì: Gesù afferma che è venuto il momento di far vedere chi è, è l’ora in cui sarà manifestato a tutti e attirerà tutti a sé dall’alto della croce. Lui vuole farsi vedere, vuole che la gente lo incontri e che lo incontri nel suo momento migliore quello della sua gloria massima. Per Gesù però è l’ora della morte in croce che diviene l’ora della gloria, l’ora in cui appare pienamente il suo amore vissuto all’estremo per gli uomini tutti.

Per spiegare questo Gesù utilizza la similitudine con il chicco di grano. La sua morte è una semina, nella quale il seme deve cadere a terra, essere sotterrato, morire come seme e dare origine a una nuova pianta che moltiplica i semi nella spiga. La morte è la tappa che permette al seme di liberare tutta la sua forza di vita. Se non c’è la morte questa forza di vita non si libera, se il chicco non muore rimane solo, e questo è il segno dell’inutilità della vita, è la realizzazione di ciò che vogliamo fuggire: la solitudine è uno dei problemi più grossi degli uomini, perché è ciò che più di tutto ci fa sperimentare la morte nella nostra esistenza. Trattenere per sé la vita, cioè non volerla donare significa non creare relazione autentiche, non fidarsi di nessuno ma anche di essere inaffidabili e questo porta alla solitudine. Certamente ciò che trattiene dal donare la vita è la paura di perderla, ma agire per paura porta quasi sempre a realizzare da soli ciò da cui si intende fuggire: per paura di morire donando la vita resto solo, cioè faccio un’esperienza di morte.

L’attaccamento alla vita, il timore di perderla è sempre fonte di compromessi che paralizzano il processo di crescita dell’amore, la vera morte è la sterilità di chi non vuole dare, di chi non spende la propria vita ma vuole conservarla gelosamente, mentre il dare la vita fino a morire è la garanzia di massima realizzazione, è vita abbondante, piena, significativa, per noi e per gli altri.

Tutto questo discorso nasce dall’osservazione della legge naturale, quella legge che accorda al seme la possibilità di maturare in vita nuova, ma questa legge naturale vale anche all’interno di un percorso spirituale: accogliere la propria debolezza, accettare di spogliarsi delle proprie presunzioni e delle proprie pretese, vivere giorno per giorno la sequela di Gesù in una prassi costante di amore donato è la via che conduce al morire a se stessi ed è proprio attraverso la morte che si giunge alla gloria della resurrezione.

Certamente è un percorso costoso, difficile, che può far paura. Anche Gesù è turbato davanti a questa prospettiva, come ogni uomo ha paura della sofferenza e della morte, ma ha fede nel Padre e questo gli permette di dire il suo sì, di andare avanti fino alla croce dove sarà innalzato come segno di vittoria di Dio, la vittoria di una debolezza più forte della violenza e del potere.

A chi voleva vederlo Gesù non si nega, ma si propone così, innalzato sulla croce che muore come un chicco di grano per generare un frutto di vita eterna.

Commento di don Domenico Malmusi

Quaresima 22 – 28 Marzo 2015

Filed under: Riflessioni — Insieme @ 17:13

 

Preghiera del mattino

Salmo 90. Fragilità della vita umana

Signore, di età in età sei stato per noi una dimora:

prima che nascessero i monti

e tu generassi la terra e il mondo

tu sei da sempre e per sempre, o Dio.

Tu fai tornare l’uomo alla polvere

quando dici: «Figli di Adamo, ritornate!»

ai tuoi occhi mille anni come ieri

come un turno di veglia nella notte.

Li fai svanire come un sogno al mattino

sono come l’erba che germoglia

al mattino germoglia e fiorisce

alla sera è falciata e avvizzisce.

Sì, siamo consumati dalla tua ira

dalla tua collera siamo spaventati

tu metti le nostre colpe davanti a te

le nostre opacità alla luce del tuo volto.

Per la tua collera svaniscono i nostri giorni

i nostri anni se ne vanno come un soffio,

la nostra vita arriva a settant’anni

a ottanta se ci sono le forze:

la maggior parte sono pena e fatica

passano presto e noi ci dileguiamo.

Chi comprende la forza della tua ira

chi non teme la tua collera?

insegnaci a contare i nostri giorni

e giungeremo al cuore della sapienza.

Ritorna, Signore! fino a quando?

e porta consolazione ai tuoi servi,

saziaci con il tuo amore al mattino

esulteremo e gioiremo tutto il giorno.

Rallegraci per i giorni in cui ci hai afflitti

per gli anni in cui abbiamo visto il male

rivela ai tuoi servi il tuo agire

il tuo splendore ai loro figli, Signore.

Su di noi sia la bellezza del nostro Dio

conferma per noi il lavoro delle nostre mani

porta a termine ogni nostro lavoro.

Vangelo

domenica Gv 12,20-33

lunedì Gv 8,1-11

martedì Gv 8,21-30

mercoledì Lc 1,26-38

giovedì Gv 8,51-59

venerdì Gv 10,31-42

sabato Gv 11,45-56

Silenzio

Invocazioni

R. Kyrie, eleison!

Mosè ha digiunato per espiare il peccato del tuo popolo: accogli, Signore, questo tempo di preghiera e di digiuno.

Dopo il suo digiuno ti sei manifestato a Elia: fa’ che sperimentiamo la tua presenza silenziosa.

Alla parola di Giona Ninive ha fatto penitenza: aiutaci ad ascoltare la voce di Gesù che chiede conversione.

Il profeta Gioele ha chiesto a Israele preghiera e pentimento: il tempo quaresimale segni il nostro ritorno a te.

Gesù tuo Figlio ha voluto digiunare nel deserto: insegnaci con il digiuno a vincere le tentazioni.

Gesù tuo Figlio ci ha comandato di pregarti nel segreto: donaci di cercare soltanto in te la nostra gloria.

Gesù tuo Figlio è lo Sposo che viene:

aumenta in noi l’attesa del giorno nuziale.

Preghiamo:

Dio nostro padre, in Gesù, primogenito di una moltitudine di fratelli tu hai portato il dolore di chi soffre e di chi è disprezzato: perdona la nostra indifferenza rendici attenti ai bisogni degli altri affinché il nostro digiuno quaresimale sia una vittoria sull’egoismo e una partecipazione alla tua carità. Sii benedetto nei secoli dei secoli. – Amen.

Padre nostro

Preghiera della sera

Salmo 91. Dio protegge i credenti

Tu che abiti nell’intimità dell’Altissimo

e passi la notte all’ombra del Potente

di’ al Signore: «Mio rifugio, mia forza

mio Dio, presso cui sono sicuro!»

Lui ti libererà dal laccio del cacciatore

dalla peste che devasta,

con le sue ali egli ti copre

sotto le sue penne tu trovi riparo

la sua fedeltà è armatura e scudo.

Non temerai i terrori della notte

né la freccia che vola di giorno

la peste che vaga nelle tenebre

il flagello che colpisce a mezzogiorno.

Cadranno mille al tuo fianco

cadranno diecimila alla tua destra,

ma nulla arriverà a colpirti.

Basterà che tu apra gli occhi

e vedrai il salario dei malvagi

sì, il Signore è il tuo rifugio

tu hai fatto dell’Altissimo la tua dimora.

La sventura non può cadere su di te

né il male avvicinarsi alla tua tenda

per te darà ordine ai suoi angeli

di custodirti in tutte le tue vie.

Sulle loro mani essi ti porteranno

perché il tuo piede non inciampi nel sasso

passerai su vipere e scorpioni

schiaccerai il leone e il serpente.

«Lo salverò perché si è affidato a me

lo custodirò perché conosce il mio Nome

mi invocherà e io gli darò risposta

Io sarò con lui nell’angoscia.

«Lo libererò e lo coprirò di gloria

lo sazierò con lunghi giorni di vita,

a lui mostrerò la mia salvezza».

Lettura

domenica Ger 31,31-34

lunedì Dn 13,1-9.15-17.19-30.33-62

martedì Nm 21,4-9

mercoledì Is 7,10-14; 8,10

giovedì Gen 17,3-9

venerdì Ger 20,10-13

sabato Ez 37,21-28

Silenzio

Invocazioni

R. Ascolta e salvaci, Signore!

Signore, tu conosci il nostro desiderio di sapienza umana: apri i nostri cuori alla sapienza della croce.

Tu discerni quanto sono fragili le nostre fedeltà: mantienici saldi nei nostri impegni e nei nostri voti.

Tu osservi le nostre fatiche a obbedire all’evangelo: perdona le nostre cadute e le nostre incoerenze.

Tu vedi che dalla nascita siamo tentati dal maligno: vieni accanto a noi e fortificaci nella lotta.

Signore, tu sai tutto, tu sai che noi ti amiamo: sii tu il nostro pastore che mai viene meno.

Preghiamo:

Dio di forza e di amore,

alla fine di questo giorno eccoci davanti a te: i nostri peccati ci pesano

ma tu solo ne hai portato il carico:

concedici di ritrovare la fiducia e la pace di fronte alla croce di tuo Figlio.

Egli vive e regna con te e lo Spirito santo nei secoli dei secoli. – Amen

Padre nostro

17 marzo 2015

Vangelo E Commento Domenica 15 Marzo – 4a Domenica Di Quaresima

Filed under: Vangelo — Insieme @ 20:30

Dal Vangelo secondo Giovanni 3,14-21.
In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo,
perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è gia stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere.
Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

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4a Domenica

Amare la luce.

Dopo la schiavitù in Egitto, l’esperienza più drammatica per il popolo d’Israele, narrata dalle scritture, è stata quella dell’esilio: il tempio è distrutto, i re uccisi, il popolo deportato. Ma la fiducia in Dio non è crollata, almeno alcuni continuano a pregare, ad elevare al Signore delle lamentazioni e delle invocazioni come il salmo responsoriale che abbiamo pregato. La preghiera è possibile quando la speranza non è morta, quando il Signore, anche nella drammaticità del peccato e della lontananza da lui continua a mandare segni di salvezza. Il segno è Ciro, re pagano e straniero, che diventa lo strumento di Dio per riportare il popolo a Gerusalemme e ricostruire così il tempio.

Nella stessa linea di peccato e perdono, entra anche il discorso di Gesù a Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. C’è una volontà di salvezza in Dio, che nasce dal suo amore per il mondo, che lo conduce a percorrere qualsiasi via possa condurre al questo risultato. Anche se la via passa per la croce.

Nei vangeli sinottici, la necessità della passione e della croce è annunciata in modo tale che i discepoli sono atterriti, confusi, non capiscono, e con loro anche noi. Ma il vangelo di Giovanni, che è stato scritto più tardi e dopo una lunghissima riflessione di carattere teologico, usa un linguaggio molto diverso. Quello che Marco, Matteo e Luca descrivono come infamia, tortura, supplizio della croce, per Giovanni diventa un innalzamento, un segno di gloria.

Gesù è innalzato sulla croce per essere posto sotto lo sguardo degli uomini che, attraverso di lui potranno vedere il Padre. La croce è la manifestazione più alta della figliolanza di Gesù, attraverso la croce viene innalzato alla gloria dei cieli, perché lui, accettando il rifiuto degli uomini, ha testimoniato l’amore del Padre fino alla morte.

Chi rifiuta di volgere lo sguardo a Gesù nega in modo radicale la relazione con lui e si autoesclude dalla salvezza. Gesù in croce si offre allo sguardo di Nicodemo, del popolo e di tutta l’umanità. Quello che conta veramente è tenere fermo lo sguardo su di lui, cioè credere in lui, nonostante le difficoltà della vita. A questo punto però l’amara constatazione di Giovanni è che molti amano le tenebre, e le amano perché le loro opere sono lontane dalla verità di Cristo.

È molto forte questa affermazione di “amare le tenebre”, fra l’altro utilizzando il verbo agapao, che è un verbo molto importante nella storia cristiana perché indica quell’amore totale, disinteressato, tipico di Dio. Le tenebre indicano normalmente il peccato, il tema però è molto più radicale: l’utilizzo di questo verbo indica amore, preferenza, attaccamento, scelta consapevole. Non è dunque semplicemente questione di commettere un peccato, di fare il male per debolezza, quasi in modo accidentale e non per una scelta di fondo. Il male è tanto radicato nell’uomo che emerge anche quando l’uomo vorrebbe fare il bene come testimonia lo stesso san Paolo. Amare le tenebre è questione di scelte, di preferenze, di un assenso consapevole dato al male e al peccato. Gesù pensa a coloro che amano la menzogna, la scelgono, la giustificano con ragioni apparentemente plausibili.

Il testo mostra che c’è una connessione molto stretta fra conoscenza e prassi, fra la condizione in cui si vive e la decisione nei confronti della verità. ‘Fare la verità’ significa vivere una prassi corretta, vissuta nella piena libertà interiore, cioè non per timore o in attesa di un premio, ma solo per amore della verità, che attraverso il mio agire vedo e comprendo sempre più a fondo. Una prassi scorretta impedisce di vedere, perché l’agire condiziona il comprendere: solo una verità vissuta permette di aprirsi alla verità tutta intera. Per scorgere una verità che impegna la vita non basta l’intelligenza, occorre la pulizia del cuore, cioè una vita retta. Un retto vivere comporta un retto comprendere mentre non è vero il contrario: a volte si vede dove c’è il bene, lo si comprende, poi si sceglie al contrario.

Succede, nelle fasi giovanili della nostra esistenza, che l’ideale, il bene intravisto, la verità conosciuta permettano di fare scelte che cambiano radicalmente il nostro modo di vivere, ma nello scorrere della vita solo la fedeltà ad una prassi corretta può mantenere l’orientamento alla verità. Il nostro pensare è condizionato dal nostro agire, cioè noi pensiamo come viviamo, anche se spesso crediamo di poter vivere come pensiamo. Occorre dunque fare la verità, scegliere di agire bene perché questo permette di amare la luce e, nella trasparenza delle nostre scelte, vedremo e faremo conoscere Dio.

Commento di don Domenico Malmusi

Quaresima 15 – 21 Marzo 2015

Filed under: Riflessioni — Insieme @ 20:15

 

Preghiera del mattino

Salmo 143. Dio è rifugio dall’oppresso

Signore, ascolta la mia supplica

alle mie preghiere tendi l’orecchio

nella tua fedeltà, nella tua giustizia rispondimi, non entrare in giudizio con il tuo servo

nessun vivente può giustificarsi davanti a te.

Si, il mio nemico mi perseguita

calpesta la mia vita fino a terra

mi confina in luoghi tenebrosi

come i morti, morti per sempre,

si spegne in me il mio respiro

dentro di me si raggela il mio cuore.

Mi ricordo dei giorni di un tempo

rimedito su tutte le tue azioni

ripenso alle opere delle tue mani:

protendo le mie mani verso di te

come terra arida assetata di te.

Presto, rispondimi, Signore

mi viene a mancare il respiro

non nascondere a me il tuo volto

sarei tra quelli che scendono nella tomba.

Fammi sentire al mattino il tuo amore

perché ho fede in te, o Signore

fammi conoscere la via da seguire

perché a te io offro la mia vita.

Dai miei nemici liberami, Signore

presso di te io trovo rifugio

insegnami a fare la tua volontà

perché sei tu il mio Dio,

con bontà mi guidi il tuo Spirito

su terre che non conoscono inciampi.

A causa del tuo Nome fammi vivere, Signore

per la tua giustizia fammi uscire dall’angoscia

nel tuo amore annienta i miei nemici,

fa’ perire tutti i miei avversari

perché io sono il tuo servo.

Vangelo

domenica Gv 3,14-21

lunedì Gv 4,43-54

martedì Gv 5,1-16

mercoledì Gv 5,17-30

giovedì Mt 1,16.18-21.24

venerdì Gv 7,1-2.10.25-30

sabato Gv 7,40-53

Silenzio

Invocazioni

R. Noi ti adoriamo, Signore!

Noi siamo tua stirpe, Signore Dio

siamo i tralci della vite che tu hai piantato: il tuo Spirito sia la linfa che ci porta la vita.

Tu ci fai crescere quale tua santa vigna

e ci poti perché portiamo più frutto:

senza di te non possiamo fare nulla.

Tuo Figlio Gesù offrendo se stesso per noi ha inaugurato il culto della Nuova Alleanza:

la nostra vita sia l’offerta del nostro sacrificio.

Quando noi non sappiamo dar frutti

con pazienza paterna resta in attesa:

non dimenticare la vite che la tua destra ha piantato.

Preghiamo:

Padre santo e buono, tuo Figlio Gesù ha vissuto in mezzo a noi come un medico per quelli che si riconoscevano malati: rendici consapevoli del nostro peccato affinché cerchiamo in lui la nostra guarigione e possiamo cantare la nostra comunione con te e i fratelli. Sii benedetto ora e nei secoli dei secoli.

– Amen

Padre nostro

Preghiera della sera

Salmo 17. Grido a Dio di un innocente perseguitato

Signore, ascolta la giustizia

sii attento al mio grido

porgi l’orecchio alla mia preghiera

le mie labbra non dicono inganno,

dal tuo volto proceda il mio giudizio

i tuoi occhi vedano la rettitudine.

Scruta il mio cuore, visitalo nella notte

saggiami al fuoco ma nulla troverai

le suggestioni ad agire al modo degli altri

non sono giunte neppure alla mia bocca.

Seguendo la parola delle tue labbra

ho evitato il cammino del perverso

ho tenuto saldi i miei passi sulle tue tracce

i miei piedi non hanno vacillato.

Grido a te, rispondimi, o Dio

porgi l’orecchio, ascolta le mie parole,

manifesta le meraviglie del tuo amore

tu che salvi dagli avversari

chi si rifugia alla tua destra.

Custodiscimi come la pupilla dell’occhio

nascondimi all’ombra delle tue ali

di fronte ai malvagi che mi assalgono

ai nemici voraci che mi accerchiano.

Sono ottusi nella loro sufficienza

la loro bocca parla con arroganza,

eccoli sui miei passi, mi insidiano

puntano gli occhi per abbattermi

come un leone impaziente di divorare

un giovane leone che si apposta in agguato.

Sorgi, Signore, affrontalo, abbattilo!

la tua spada mi liberi dai malvagi

la tua mano mi liberi da uomini mondani

da quelli che confidano solo in questa vita.

A quelli che proteggi tu riempi il grembo; Signore

si saziano i figli e ne avanza per i loro bambini,

ma io per la tua giustificazione contemplerò il tuo volto

al risveglio mi sazierò della tua immagine.

Lettura

domenica 2Cr 36,14-16.19-23

lunedì Is 65,17-21

martedì Ez 47,1-9.12

mercoledì Is 49,8-15

giovedì 2Sam 7,4-5.12-14.16

venerdì Sap 2,1.12-22

sabato Ger 11,18-20

Silenzio

Invocazioni

R. Christe, eleison!

Signore Gesù, tu sei stato tentato come noi dal demonio, sei stato provato in tutto:

vieni in aiuto alla nostra debolezza.

Figlio di Dio, tu ti sei fatto povero per noi:

liberaci dall’idolatria dei beni e del denaro

insegnaci che c’è più gioia nel dare che nell’avere.

Cristo, tu sei mite e umile di cuore, grande nell’amore: etti in noi la calma, la pace e la pazienza, non lasciare che il sole tramonti sulla nostra collera.

Gesù, tu hai vissuto una vita bella, buona e felice: aiutaci a combattere contro lo spirito della tristezza e rinnova ogni giorno in noi la gioia che viene da te.

Il principe di questo mondo da te è stato vinto: nella nostra lotta sii tu a lottare, la tua croce sia la nostra speranza.

Preghiamo:

Padre santo, la croce di tuo Figlio sia la nostra forza di fronte alle contraddizioni e alle prove vissute in questo giorno: la tua potenza agisca nella nostra debolezza come ha agito nella passione di Gesù poiché egli è morto ma ora è risorto e vivente nei secoli dei secoli. – Amen.

Padre nostro

24 febbraio 2015

Vangelo E Commento Domenica 22 Febbraio – 1a Domenica Di Quaresima

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Le Tentazioni Di Cristo - Mosaico, Basilica Di San Marco, Venezia

Le Tentazioni Di Cristo – Mosaico, Basilica Di San Marco, Venezia

Dal Vangelo secondo Marco 1,12-15.
Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto
e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva:
«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo».

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1a Domenica

Nutrire il lupo

La prima lettura, tratta dal libro della Gesnesi, parla dell’alleanza fra Dio e l’uomo sigillata con Noè attraverso il segno dell’arcobaleno. Sappiamo bene però che l’uomo continuamente rompe l’alleanza che, sempre, Dio vuole rinnovare. La Bibbia presenta diverse volte il rinnovo dell’alleanza, con Abramo, poi con Mosè, i giudici e i re che si sono susseguiti alla guida del popolo. Infine, nella pienezza dei tempi, viene nel mondo Gesù, la nuova e definitiva alleanza stipulata da Dio con l’umanità. Ma, come si vede bene dalla vita di Gesù, essere in alleanza, mantenere l’alleanza, è un compito difficile, richiede di uscire vincitori dall’esperienza della tentazione, del deserto e della solitudine.

Nei vangeli di Matteo e Luca, il racconto delle tentazioni è piuttosto articolato, mentre quello di Marco, che abbiamo ascoltato ora, è un racconto molto secco, due sole righe in cui si dice semplicemente che lo Spirito gettò Gesù nel deserto per essere tentato da Satana per quaranta giorni. Il testo lascia intendere bene che la tentazione avviene in modo continuativo, non in situazioni episodiche. Marco non si dilunga nel descrivere le tentazioni, non fa una catechesi sulla tentazione, semplicemente fa osservare che dopo il battesimo Gesù non viene separato dalla storia e dalle sue ambiguità, anzi, è lo Spirito stesso che lo butta dentro questa storia fatta di lotta e insieme di pace come indica la presenza contemporanea delle bestie selvatiche e degli angeli: paura, rabbia, aggresività insieme a pace, fiducia, benevolenza.

Questa nuova alleanza che Dio stipula con l’umanità non è un nuovo contratto, ma è Gesù stesso, sintesi di entrambi i contraenti: ed è lui nella sua piena realtà umana che vive l’esperienza di essere gettato nel deserto e nella solitudine, vive la tentazione e la lotta che lo conducono alla vittoria e alla pace, una pace non significa l’annientamento delle belve, ma piuttosto la capacità di convivere con loro.

Gesù resta nel deserto quaranta giorni: occorre del tempo per vivere l’alleanza. La fedeltà è provata nella perseveranza, nello scorrere del tempo, quindi c’è bisogno di un periodo adeguato, una fase durevole come sono stati i quarant’anni del popolo nel deserto ripresi e simboleggiati dai quaranta giorni di Gesù nella solitudine della tentazione. I quaranta giorni non richiamano solo i quarant’anni di Israele, ma sono anche simbolo di una vita, di un ricambio generazionale. Il senso allora è che la tentazione non è solo un periodo, una fase giovanile della vita di una persona ma è tutto l’arco di tempo della sua esistenza.

Una leggenda degli indiani d’America riprende e spiega con molta chiarezza questo tema: «Un anziano capo indiano che aveva dentro di sé la saggezza del tempo, parlava a suo nipote della vita: “Dentro ognuno di noi c’è una lotta, – diceva al bambino con il suo solito tono calmo, – un terribile combattimento tra due lupi. Uno è cattivo e vive di odio, gelosia, invidia, risentimento, falso orgoglio, bugie, egoismo”. Il nonno fece pausa, per dargli modo di capire quello che aveva appena detto. “E l’altro?” domandò il bambino. “L’altro è il lupo buono. Vive di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà e fede”. Il bambino rimase a pensare un istante a quello che il nonno gli aveva appena raccontato. Poi diede voce alla sua curiosità e al suo pensiero: “E quale lupo vince?”. Il vecchio nonno si girò a guardarlo e rispose con occhi limpidi: “Quello che nutri di più”.»

La quaresima è il tempo che la chiesa ci dona per poter nutrire il lupo che vive di pace e di speranza. Lo nutriamo ascoltando Gesù che ci annuncia la novità di Dio, la lieta notizia che il Regno è vicino, tanto vicino che possiamo sentirne il profumo, i suoni, tanto vicino che possiamo già vivere come se fossimo cittadini di questo Regno. Prima di lui e dopo di lui, molti sono venuti come profeti e hanno cominciato a denunciare il male, a lamentare la caduta dei valori, ad accusare la cattiveria dei tempi. Come se questa fosse la via per far trionfare il bene. Giovanni XXIII, nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II diceva: “Ci sono alcuni che nelle attuali condizioni della società umana non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; … come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”. Questa via così nuova non è altro che la via di Gesù: lui per primo piuttosto che denunciare, annuncia. E dice di credere al Vangelo, fidarsi dell’amore, nutrire l’amore, ascoltando il proprio cuore, ascoltando Dio che è sempre con noi, anche nella tentazione.

Commento di don Domenico Malmusi

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