Parrocchia Di Collegara-San Damaso

1 settembre 2014

Vangelo E Commento Domenica 31 Agosto XXI Tempo ordinario

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Pieter Bruegel - La Salita Al Monte Calvario

Pieter Bruegel – La Salita Al Monte Calvario

Dal Vangelo secondo Matteo 16,21-27.
Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno.
Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai».
Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?
Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

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XXI Tempo ordinario

La via della croce

Il brano di vangelo è la prosecuzione di quello di domenica scorsa e sarebbe opportuno leggerli insieme perché Matteo assegna a questo episodio un ruolo di svolta: dopo questo episodio Gesù comincerà a concentrare il suo insegnamento sulla croce. Nel contrasto fra la professione di fede di Pietro e il suo rifiuto della croce viene messo in luce il punto decisivo sul quale avviene lo scontro tra la fede vera e la fede apparente: non basta confessare che Gesù è il messia per essere credenti, occorre riconoscere la via della croce, che resta sempre uno scandalo, cioè un inciampo, una fatica, ma che è la via inevitabile per la sequela.

Per Gesù la croce non è solo un fatto che avviene per la cattiveria degli uomini, ma è la strada scelta da Dio per realizzare il suo piano di salvezza, e nella meditazione delle Scritture se ne acquista la consapevolezza. L’esperienza di Gesù è la stessa che viene narrata dal profeta Geremia della prima lettura, è l’esperienza di un fuoco e di una passione che non si possono contenere ma che portano inevitabilmente all’isolamento e alla morte.

Per questo la croce resta per noi è uno scandalo, perché è l’elemento più radicalmente estraneo al ‘mondo’, quel mondo che cerca rilevanza e vita. Pietro, nella sua ribellione alla croce di Gesù, esprime l’atteggiamento di repulsione che anche noi sentiamo e che ci porta a confessare rettamente la fede e poi a smentire questa confessione nel nostro agire quotidiano. Noi diciamo di aver fede però poi ci conformiamo al mondo, ai parametri e ai criteri della mondanità, il nostro pensare e sentire è quello degli uomini, non è secondo Dio.

Viviamo un tempo di un’ingiustizia, c’è un potere utilizzato dall’autorità che si spaccia anche per religiosa (pensiamo alle violenze fatte da Israele, alle violenze in nome di Allah, ma anche all’uso del potere di tanti membri della chiesa) che è una logica ‘mondana’ fatta di privilegi e che è disposta a schiacciare tutto per di ‘conservare’ la propria vita. Gesù dice che ‘deve’ succedere, che la via di Dio passa per di lì, che se non fosse così mancherebbe un pezzo fondamentale. Questa è la via della croce, una via che non deve essere subita con sentimenti di vittimismo, ma che non si può evitare se si accetta di seguire Gesù. Questo però è scandalo, davanti a questa prospettiva dentro di noi scatta la ribellione, allora non ci pensiamo più perché tanto non sappiamo che fare davanti all’ingiustizia e ci adeguiamo a questa realtà cercando il nostro piccolo tornaconto, viviamo un cristianesimo fatto di conoscenza dei principi fondamentali, ma non condividiamo la passione di Gesù.

Parlando di passione torno alla vicenda di Geremia è un insegnamento molto prezioso: dopo l’entusiasmo dell’adesione al Signore, dopo la dolcezza e la bellezza sperimentate nei momenti iniziali della chiamata, quando la parola del Signore fu per lui “la gioia e la letizia del suo cuore”, con il passare degli anni e lo svolgersi del suo ministero profetico, viene l’esperienza di amarezza e di sofferenza causata da questa stessa parola. Il profeta si sente ingannato da Dio: allora forse non fu una vera vocazione, soltanto un abbaglio, un inganno. Ma Dio lo ha chiamato oppure violentato? La crisi è così forte che il profeta è tentato di abbandonare il ministero ricevuto, “Non parlerò più in suo nome” dice. Ma il suo cuore è ancora infiammato dalla parola di Dio e, in questo fuoco Geremia trova il rinnovamento e la conferma della sua vocazione. Se il Signore è una passione, allora anche la crisi sarà un momento di verità della fede e della vocazione. Questa è la sfida per noi cristiani di oggi: sentire la passione per il Signore, per la verità del vangelo, per un amore che supera ogni confine oppure vivere la tepidezza di un cristianesimo fatto di formule e doveri. L’esperienza dell’ostilità per Geremia – come per Gesù – è il frutto di una passione grande, che non permette alle persone di rimanere nel loro torpore, ma propone una prospettiva grande e chiede un cambiamento.

Cambiamento che è un rimettersi dietro a Gesù. Per due volte nel Vangelo di oggi si parla di venire ‘dietro di me’, per dirci come la storia di Pietro sia l’illustrazione delle condizioni per la sequela, espresse con tre verbi molto importanti: rinnegare se stessi, prendere la propria croce, seguirlo. Questi verbi, dunque, vanno compresi alla luce di quanto succede a Pietro. Rinnegare se stessi significa rinunciare ad una prospettiva in cui la vita è ‘conservata’ e il male non dovrà toccarci (‘questo non ti accadrà mai!’); prendere la propria croce significa accettare che il coraggio di porre dei segni di cambiamento poterà all’incomprensione ed esporrà ad una violenza (in primis da parte delle autorità religiose!), seguirlo significa non autolesionismo, ma fiducia nella risurrezione, sapendo che i maestri non possiamo essere noi, perché di Maestro ce n’è uno solo e noi possiamo solo seguirlo.

Commento di don Domenico Malmusi

26 agosto 2014

Vangelo E Commento Domenica 24 Agosto – XXI Tempo Ordinario

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Pietro Perugino - consegna delle chiavi a san Pietro

Pietro Perugino – consegna delle chiavi a san Pietro

Dal Vangelo secondo Matteo 16,13-20.
In quel tempo, essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?».
Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Voi chi dite che io sia?».
Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli.
E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.
A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

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XXI Tempo ordinario

Ma voi, chi dite che io sia?

Il Ezechia, vissuto circa 700 anni prima di Gesù, decide quasi improvvisamente di sostituire il maggiordomo Sebna con Eliakim. Il maggiordomo non è un domestico ma un funzionario, corrisponde ad un ministro delle finanze. Non abbiamo molti riferimenti storici, ma sembra che il potere avesse dato alla testa a Sebna, cosa piuttosto frequente anche ai giorni nostri, e questo funzionario reale vivesse nel lusso più sfrenato. Ezechia, uno dei pochi re ricordati come fedele a Dio, ha una visione del potere più legata al servizio che alla sopraffazione, quindi nomina al suo posto Eliakim che “Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda”, cioè che gestirà il potere in un modo completamente diverso. Lui sarà il custode delle chiavi, colui che viglila sulla sicurezza del palazzo per tener fuori i nemici.

Gesù riprende queste parole nel consegnare a Pietro questa realtà grande e difficile che è il potere all’interno della sua chiesa, una realtà pericolosa perché sappiamo bene che il potere genera sempre lotte, soprusi, tirannie… Come è possibile che questa realtà così pesante e così fragile non schiacci o corrompa il discepolo di Gesù? Per prima cosa occorre comprendere che l’autorità nella chiesa è servizio di unità e di comunione. Proprio per questo non può che partire da un coinvolgimento decisivo con Gesù, dalla relazione con lui. Una profonda e autentica relazione con Gesù permetta di comprendere che la chiesa è sua (su questa pietra edificherò la mia chiesa) e che lui è la motivazione e il senso di tutto l’agire del discepolo. Simone è la prima pietra della costruzione che poggia sulla roccia che è Cristo, e anche noi siamo pietre vive per l’edificazione di questo edificio spirituale. Se al centro c’è dunque la relazione con Gesù la domanda sulla sua identità è fondamentale. Capirlo profondamente richiede che non si ricorra a degli schemi usuali e legati al passato (Giovanni Battista, Elia, Geremia o altri profeti) ma che ci si apra alla rivelazione di Dio, cioè al dono. Non è frutto della nostra ricerca ma del suo amore. Ed è un percorso lungo, difficile, perché Pietro, che pure dà la risposta esatta, dovrà prima meditare nel silenzio e, solo dopo aver conosciuto e accettato la croce, raccontare. (ma questo è il vangelo di domenica prossima)

Mi sembra importante sottolineare il mandato del silenzio dato da Gesù ai discepoli. L’autorità inizia il suo mandato dal silenzio perché prima della parola da dire ad altri viene l’ascolto per verificare la propria fede. Il silenzio aiuta anche a capire che non siamo noi a generare alla fede, ma che siamo custodi e assistenti della fecondità di Dio. Gesti, azioni, scelte e decisioni sono la testimonianza più profonda della fede e quindi vengono prima della parola e sono messi in risalto dal silenzio. Silenzio è anche spazio dato all’altro, al suo protagonismo. Certamente il silenzio, come la parola, può essere ambiguo: c’è un silenzio che è omertà, presa di distanza, disimpegno… proprio come c’è una parola che invece di essere veritiera, creativa e relazionale è falsa e menzognera. Sta a noi scegliere la verità, nel silenzio come nella parola.

Ma torniamo alla domanda di Gesù che ci interpella sulla qualità del nostro rapporto con lui. Custodire e lavorare su da quella domanda è forse la cosa più essenziale che ci viene da questo vangelo: ho una esperienza personale con Gesù, un pensiero autonomo, intimo? Dedico tempo all’ascolto, alla ricerca, allo stare insieme? Lo vedo e lo sento come fondamento della mia vita che viene riplasmata ogni giorno? Gesù è veramente per me l’immagine in cui contemplo il Dio invisibile? Oppure sono uno che conosce il ‘Credo’, le formule dottrinali, ma senza che queste tocchino la mia vita. Una relazione autentica ‘contamina’ le persone, fino a farle cambiare ed è qui che si vede la qualità di una relazione, che è anche la qualità della fede. La stessa domanda possiamo porcela anche nelle relazioni umane: anche per queste è importante capire chi è l’altro, chi è per me! A volte smettiamo di chiederci chi è l’altro per me (o anche chi sono io per lui) perché questo comporta che poi ci si assuma la responsabilità sull’altro e l’impegno è sempre faticoso.

Simone viene proclamato da Gesù beato: è il puro di cuore che riesce a vedere Dio, il piccolo al quali il Padre manifesta ciò che resta nascosto ai dotti e ai sapienti. Lasciando il cuore aperto alla rivelazione no solo si conosce Dio ma si progredisce nel cammino di maturazione personale e di conoscenza di se stessi. Simone diventa Pietro, la sua identità evolve e si approfondisce. Anche questo è beatitudine.

Commento di don Domenico Malmusi

10 agosto 2014

Vangelo E Commento Domenica 10 Agosto

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San Pietro Salvato Dalle Acque - Basilica Di San Benedetto PO

San Pietro Salvato Dalle Acque – Basilica Di San Benedetto PO

Dal Vangelo secondo Matteo 14,22-33.
Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla.
Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.
La barca intanto distava gia qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario.
Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare.
I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «E’ un fantasma» e si misero a gridare dalla paura.
Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura».
Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque».
Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù.
Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!».
E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò.
Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».

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XIX Tempo ordinario

Misericordia e verità

L’episodio evangelico che abbiamo ascoltato è esclusivo di Matteo. Anche il primato di Pietro è esclusivo di Matteo, ed è importante questo perché proprio questo uomo dubbioso, arrogante, pauroso è il primo nella chiesa. Ma il brano non vuole solo parlare di Pietro ma essere metafora del cammino della chiesa nella storia, del cammino dei cristiani nel mondo nel tempo dell’assenza del Signore. Anche se realtà Gesù non è assente, è sul monte a pregare, è nella piena comunione con il Padre.

Nel brano di domenica scorsa Gesù aveva rinunciato al suo momento di solitudine e di preghiere per poter stare accanto alla folla. Ma il suo desiderio di solitudine è forte, il bisogno di restare solo con Dio vitale e irrinunciabile, per questo non è soppresso ma soltanto rimandato. Il risultato comunque è quello che i discepoli si trovano soli nella traversata, così come spesso anche noi ci sentiamo soli e abbandonati da Dio.

La barca della chiesa naviga in acque infide, sospinta da venti burrascosi e, spesso, guidata da timonieri incompetenti e presuntuosi. Ma la promessa di Gesù di essere sempre con noi, si compie sempre, anche se la sua presenza non è scontata, si coglie solo nella fede, occorre decifrarla, scoprirla. E a volte la si coglie come qualcosa di ancor più tenebroso e pericoloso dei venti di tempesta, un fantasma evocatore di morte invece che di vita. La traversata notturna dei discepoli, contrastata dall’esterno e intossicata dal dubbio al suo interno è veramente la traversata della nostra vita e della nostra chiesa. Una traversata che è costituita da contrarietà e sofferenze comunitarie, sia perché la vita di tutti, cristiani e non cristiani è fatta di fatica, di sofferenza, di rischio, ma anche per ciò che Gesù ha lasciato come testamento ai suoi discepoli quando, promettendo il centuplo presenta anche la persecuzione. Una vita cristiana che magicamente scorre fra bellezza e semplicità è un’attesa falsa, una idealizzazione che rifiuta la realtà e la trasforma in un luogo di fantasia. Gesù non promette una vita facile, anzi, l’obbedienza al Vangelo chiede che si sia pronti ad affrontare la tempesta senza pretendere prove miracolistiche.

Pietro però non accetta tutto questo. Proprio lui, il discepolo a cui vengono affidate le chiavi, si mostra più dubbioso e più pretenzioso. Gesù ha appena rassicurato i discepoli: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”, che Pietro lo sfida proprio come il demonio nel deserto. “Se sei veramente figlio di Dio fa che le pietre diventino pane” aveva detto il demonio; e Pietro gli fa il verso: “Se sei veramente tu (il Messia, il Figlio di Dio) comandami di camminare sul mare”. È una sfida, una presunzione. Pietro vuole essere come Gesù, però non compiendo le stesse sue scelte, ma attraverso un comando miracoloso del Signore. Nonostante la domanda mal posta, arrogante e pretenziosa, Gesù non si tira indietro, accoglie la pretesa di Pietro e gli comanda di camminare verso di lui.

E qui succede una cosa che, secondo me, è veramente importante: è possibile camminare sul mare, Pietro ne è la testimonianza. Nonostante il dubbio, la paura, l’arroganza, nonostante tutti i difetti umani qui si vede che è possibile camminare sul mare, su quelle acque che nella bibbia indicano il caos, la morte, l’impossibilità della vita. Il problema però non è quello di scendere dalla barca e fare qualche passo, ma quello di perseverare nel cammino. Il trucco è quello che usano i funamboli: bisogna tenere lo sguardo fisso davanti a sé, senza guardare giù nell’abisso e senza lasciarsi distrarre dalla voce del vento. È questo il problema di Pietro: certamente ascolta il comando di Gesù e inizia la traversata, ma il suo sguardo non resta fisso su di lui, il suo pensiero è occupato dalle preoccupazioni del vento, delle onde. Pietro si rende conto che diventare come Gesù è una condizione che nasce fra difficoltà gravi, come la persecuzione, la calunnia, gli insulti – questo indicano il vento e le onde – per questo si spaventa e cede. Chi non costruisce sulla roccia della parola di Gesù, quando soffiano i venti, cade. È quello che succederà alla cattura di Gesù: anziché seguire il suo maestro sulla via della croce per potere con lui entrare nella vita, Pietro lo rinnegherà tra imprecazioni e spergiuri.

Proprio a questo punto però Gesù salva Pietro, stende la mano e lo afferra mentre lo rimprovera per la sua poca fede. Gesù salva rimproverando e rimprovera salvando. Questa è la salvezza che si può sperimentare sempre nella chiesa attraverso la correzione fraterna, che è sempre un atto che combina misericordia e verità, accoglienza illimitata e onestà di giudizio.

Commento di don Doenico Malmusi

29 gennaio 2014

Vangelo E Commento Domenica 26 Gennaio

Filed under: Vangelo — Insieme @ 10:33
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Duccio di Buoninsegna - La vocazione di Pietro ed Andrea

Duccio di Buoninsegna – La vocazione di Pietro ed Andrea

Dal Vangelo secondo Matteo 4,12-23.
Avendo intanto saputo che Giovanni era stato arrestato, Gesù si ritirò nella Galilea
e, lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali,
perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:
Il paese di Zàbulon e il paese di Nèftali, sulla via del mare, al di là del Giordano, Galilea delle genti;
il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata.
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori.
E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini».
Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono.
Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò.
Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono.
Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

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III Tempo ordinario

Una conversione possibile

Abbiamo appena terminato la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e la seconda lettura continua ad esortarci: state attenti alle divisioni, il più grave pericolo della chiesa è perdere l’unità, che non è uniformità o adeguarsi allo stesso pensiero, ma la capacità di vivere la diversità, il rispetto del cammino dell’altro, il desiderio di crescere ascoltando. La storia ci ha insegnato quanto sia difficile vivere questa unità nella diversità, per questo credo che il nostro impegno su questo fronte non debba fermarsi. Solo l’adesione vera a Gesù Cristo può creare unità, quindi soffermiamoci anche oggi sul vangelo, che è la sua vita e il suo insegnamento.

Il testo di oggi comincia con una piccola notizia da gossip: Gesù cambia casa! Notizia in realtà molto significativa. Prima di tutto perché questo cambio avviene in concomitanza con l’arresto di Giovanni il Battista. È come se questo evento rendesse Gesù consapevole che è il suo momento, l’ora di iniziare la sua missione, di raccogliere il testimone da Giovanni, tant’è che, secondo Matteo, il messaggio di Gesù, nelle parole, è identico a quello di Giovanni: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino. Questo è un segno di grande continuità con il Battista. Ma ciò che ci interessa di più è quello che distingue Gesù dal Battista: ciò che avviene in questo momento è un vero e proprio cambiamento di vita: un taglio col passato (lasciò Nazareth), e l’inizio di qualcosa di nuovo. Nuovo anche rispetto al Battista che si era ritirato nel deserto. Gesù sceglie di andare ad abitare in città, sulla riva del mare, al nord della Palestina, la Galilea. Non nel deserto ma in una città, una delle più importanti di quel piccolo territorio, dove convivevano ebrei e pagani, un mescolamento etnico-culturale-religioso che affonda le sue radici nella storia. La città è nel territorio di Zabulon e di Neftali, le tribù assoggettate dagli Assiri otto secoli prima e sempre rimaste un crogiuolo di etnie diverse. Non a caso l’intero territorio è chiamato Galilea, che significa “curva delle genti (goìm)”. Gesù quindi si colloca fuori dalla mitologia della razza pura, dei territori puri, delle religioni pure. Si colloca sulla via del mare, nel crocevia delle genti, proprio dove gli uomini si incontrano nella loro diversità. La Galilea, dice Isaia, era non un luogo luminoso, ma oscuro; non un popolo sotto la luce dei riflettori, ma che abitava nelle tenebre; che abitava non in una provincia ridente, ma in regione e ombra di morte.

Gesù viene non per condannare questa oscurità ma per illuminarla, con l’annuncio di una conversione possibile a tutti, c’è per tutti una buona notizia: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. La storia umana è costellata di punti oscuri, è avvolta nelle tenebre della morte ma, nonostante l’oscurità, è possibile un cambiamento di pensiero e di orientamento. Nonostante i segni di morte, è possibile una vita nuova.

Per il vangelo, dire che il mondo è nell’oscurità non significa un giudizio morale negativo, ma serve a mettere in risalto l’arrivo della luce: proprio nella regione tenebrosa risplende una grande luce, una luce che sorge proprio per coloro che abitano nella regione e nell’ombra della morte. La luce è la buona notizia di un cambiamento possibile. Gesù non ne è solo l’annunciatore, ma, cambiando casa e tipo di vita, ne è l’iniziatore.

La dimostrazione che il cambiamento è possibile a tutti grazie a Gesù la troviamo nella chiamata dei primi discepoli. Gesù passa sulla via del mare, vede dei pescatori e li chiama a seguirlo, proponendo un cambio di vita, venite dietro a me; e promettendo un cambio di mestiere, vi farò pescatori di uomini. Obbedire a Gesù significa affidarsi oggi a una promessa per il domani. La chiamata non è altro che una promessa per il futuro.

La risposta allora è un taglio col passato, con la casa e la famiglia, per dare inizio ad una vita radicalmente diversa. È per questo che Matteo scrive che i primi due “ subito lasciarono le reti e lo seguirono” e poco dopo anche gli altri due “subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono”. Incontrare Gesù nella propria vita significa un’inversione radicale, un cambio su tutti i livelli.

L’invito allora è quello di non lasciarsi abbattere dai segni di morte e dalle oscurità della vita, un cambiamento è possibile, anche per noi, ora, se sappiamo affidarci ad una promessa guardando al futuro disposti a tagliare con il passato e con il proprio modo di vivere per iniziare una cosa nuova.

Commento di don Domenico Malmusi

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