Parrocchia Di Collegara-San Damaso

5 dicembre 2011

Catechesi Tra – Con – Per Gli Adulti – 04 Dicembre 2011

Filed under: Insieme,Riflessioni — Insieme @ 08:32
Tags: , , , ,

 

3^ domenica esemplare

Festa, comunità ed eucarestia – 2^ tappa: Ascolto della parola

Dal Vangelo secondo Luca 4: 16 -30Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò,
secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu
dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l°unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore.
Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli
occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a
dire: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i
vostri orecchi”. Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati
delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è il
figlio di Giuseppe? ”. Ma egli rispose: “Di certo voi mi citerete il
proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a
Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria! ”. Poi aggiunse: “Nessun
profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c’erano molte vedove in
Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi
e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu
mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C’erano molti
lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu
risanato se non Naaman, il Siro”. All,udire queste cose, tutti nella
sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della
città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era
situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a
loro, se ne andò.

 

da “Ascoltare la parola” di E.Bianchi

…..vi è un problema di intelligenza delle Scritture, per cui non

basta scrutarle per avere la salvezza ma occorre la fede e

Lammaestramento dello Spirito Santo che rende quanti lo accolgono dei

teodidatti “istruiti da Dio”. L°opera di Luca associa sempre il

compimento della Scrittura alla discesa dello Spirito e attesta che

l°intelligenza profonda delle Scritture,la loro “apertura” esige e

provoca l°apertura della mente, del cuore, degli occhi. Cioè il

coinvolgimento radicale del credente il cui ascolto diviene esperienza

della presenza del Signore. la Scrittura ispirata è anche ispirante e

manifesta la sua potenza nel frutto di santità che fa germogliare

nel lettore. L°assemblea liturgica, grazie allo Spirito santo,ascolta

Cristo che parla,si pone alla presenza di Cristo che annuncia ancora il

suo vangelo, consente a Dio di entrare in alleanza col suo

popolo, realizza il passaggio di Dio in mezzo al suo popolo (. . .).

Ezechiele 11; 19 Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò

dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un

cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li

mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio.

Salmo 19

Insegnami, Signore, la via delle tue volontà

la seguirò fino alla fine

fammi discernere come custodire il tuo insegnamento

la osserverò con tutto il cuore.

Guidami sulla strada dei tuoi comandi

è questo il mio desiderio

piega il mio cuore alle tue testimonianze

e non verso il guadagno.

Distogli i miei occhi dal guardare vanità

fammi vivere nella tua via

realizza per il tuo servo la tua promessa

fatta ai tuoi adoratori.

Allontana l°insulto che mi spaventa

sono buoni ituoi giudizi

ecco, io desidero i tuoi precetti

fammi vivere nella tua giustizia.

7 dicembre 2010

Tortellini! Il 12 Dicembre Pranzo Comunitario Natalizio

Filed under: Appuntamenti,Insieme — Insieme @ 08:11
Tags: , ,

Domenica scorsa chi passava dall’oratorio della parrocchia, si trovavava davanti il magnifico spettacolo di circa venticinque, trenta persone treanquilamente occupate nella nobilissima arte di confezionare i tortellini anzi, i Tortellini, per il pranzo di Natale parrocchiale. Conoscendo, e  non per sentito dire, l’abilità di alcune cuoche (e cuochi) “locali” , credo che il risultato ottenuto sia perlomeno ottimo. Io il dodici non potrò esserci e mi dispiace assai, per la compagnia ovviamente. Ho fatto qualche fotografia, non tante perchè mi sono messo pure io a “piegare” tortellini. Quindi  il dodici, se trovate dei tortellini stortignaccoli o chiusi male sapete bene il perchè.

ec

P.S. Attenzione, qualcuno presente nella fotografia qui sopra, non stava mettendo i tortellini nel sacchetto, ma stava prendendone per mangiarseli crudi, Indovinate chi!

6 dicembre 2010

Un’Assemblea Che Canta

Filed under: Insieme,Riflessioni — Insieme @ 10:34
Tags: , , ,

Si sente dire spesso che la chiesa è troppo clericale, che tutto è in mano ai preti, che la gerarchia è ciò che più allontana dalla fede. Purtroppo queste cose sono in parte vere, preti e vescovi sono uomini, con tutti i limiti degli uomini, spesso amplificati dalla solitudine che vivono. Temo però che la chiesa sia eccessivamente clericale anche per una spinta notevole da parte di molti laici. Pensiamo alla celebrazione eucaristica. Proviamo a chiedere alle persone che sono in chiesa, poi anche a chi in chiesa non viene quasi mai quali sono le parti importanti della messa e facilmente risponderanno: la consacrazione e l’omelia. Cioè le parti che sono “un’esclusiva” del presbitero. Pochi diranno che l’importante è la comunione, intendendo non soltanto il mangiare un pezzetto di ostia consacrata ma il fare comunione fra persone, condividere, compartecipare.

Ma se ciò che è rilevante è soltanto ciò che riguarda direttamente il prete è come dire che è lui, la sua presenza, il suo “potere” che rende fondamentali le cose, cioè è un modo per clericalizzare la fede. È come dire che lui può fare tutto e gli altri dipendono da lui, dal suo buon cuore dalla sua disponibilità, è come dire che gli altri non valgono, sono inferiori. Ma l’eucaristia non dice questo: il presbitero non ha il “potere” di celebrare senza l’assemblea, magari piccola, povera, fatta solo di qualche persona anziana, addirittura fatta di una sola persona che però “vale” esattamente quanto il sacerdote: ognuno dei due, senza l’altro, non può celebrare l’eucaristia. Fra l’altro le norme liturgiche insistono che nella celebrazione eucaristica ognuno compia tutto e solo ciò che gli compete. Ad esempio: il prete non può leggere la prima lettura perché compete ai ministri laici, non può fare il canto di comunione perché a lui compete la distribuzione.

Una cosa che compete all’assemblea è il canto. Non compete solo al coro perché nella liturgia non esiste il ministero di concertisti, esiste quello di guida. Il coro ha dunque la funzione di guidare il canto di tutta l’assemblea, di aiutare a mantenere lo stesso ritmo, l’intonazione, eventualmente anche di “coprire” eventuali stonature e imperfezioni, di rendere più armonioso il canto con le voci di accompagnamento.

Come non si va in chiesa per ascoltare la messa, ma per celebrare l’eucaristia, così non si va nemmeno per ascoltare un concerto del coro ma per dare il proprio contributo alla celebrazione. Non ci possono essere scuse, non vale dire sono stonato, ho una brutta voce, fievole o stridula, gracchiante o rauca. Per fare una sinfonia occorrono tanti strumenti diversi, anche strumenti che da soli sono poco significativi o addirittura con un brutto suono, ma che sapientemente guidati contribuiscono alla meraviglia della musicalità. Anche il coro dunque, come tutti coloro che hanno un ministero nella liturgia, ha sostanzialmente il compito di servire la comunione, far sì che attraverso il canto si crei l’unità, si edifichi la comunità.

Fare comunione è il senso di ogni aspetto, ogni momento e ogni gesto della liturgia. Così come si crea comunione nel radunarsi, nel rispettarsi, nell’iniziare insieme, così si crea comunione nel cantare insieme. Chi non canta rinuncia a qualcosa che gli compete, delega qualcun altro, rende la comunità più gerarchica, cioè più clericalizzata. Soprattutto non si assume la responsabilità di fare comunione.

La celebrazione eucaristica deve essere l’epifania della comunità, cioè deve manifestare com’è fatta, com’è strutturata la comunità. Spetta all’assemblea mostrare che non basta il presbitero, che tutti devono e possono partecipare attivamente, che non ci sono strati di potere ma condivisione di responsabilità.

L’eucaristia è fonte della vita cristiana, un’assemblea che insieme celebra, che insieme canta costruisce e manifesta una comunità corresponsabile.

29 novembre 2010

Un’assemblea che celebra

Filed under: Insieme,Prima Pagina,Riflessioni — Insieme @ 07:47
Tags: , ,

Nelle norme del messale romano si legge: “Quando il popolo si è riunito, il sacerdote e i ministri, rivestiti delle vesti sacre, si avviano all’altare…”.

A che ora inizia la messa? Secondo le disposizioni del messale non c’è un orario, semplicemente si inizia quando il popolo è riunito.

Quindi a che ora inizia la messa? Se fossimo ligi alle norme del messale, nella nostra comunità la messa delle undici e quarto dovrebbe iniziare in un orario imprecisato fra le undici e mezzo e la undici quaranta, l’ora in cui anche gli ultimi appartenenti all’assemblea eucaristica entrano furtivamente in chiesa cercando di restare in linea con la colonna e quindi di non essere notati.

Una volta insegnavano che per “prendere la messa” bastava arrivare con il calice coperto, cioè prima della presentazione dei doni, ma all’epoca la teologia sull’eucaristia era molto diversa. Nel pensiero comune la messa era “detta” dal prete ed il popolo assisteva, più o meno come si assiste ad uno spettacolo teatrale. Il concilio Vaticano II, ha ripensato il significato dei sacramenti, ha fatto riscoprire il ruolo centrale della comunità, quindi anche il ruolo della presidenza. La messa non è un “affare del prete” al quale si assiste, ma il con-venire di un popolo che risponde all’appello del suo Signore. Il presbitero è “soltanto” il presidente dell’assemblea eucaristica, di questo popolo che ha risposto alla convocazione per celebrare le lodi ed il ringraziamento al suo Dio. Senza assemblea anche il prete perde il suo ruolo ed il suo significato.

La prima azione liturgica della celebrazione eucaristica allora non è il segno di croce e nemmeno il canto d’ingresso ma il radunarsi, il convenire: “Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa, Signore, si raccolga dai confini della terra nel tuo regno”1 dice un’antichissima preghiera che veniva recitata nell’eucaristia. L’Eucaristia riunisce e plasma la Chiesa attraverso i gesti, i segni e i simboli che la costituiscono. Anche il modo di andare a messa dunque contribuisce a creare la Chiesa, la comunità concreta che è la Chiesa visibile e sperimentabile per noi.

A volte si ha l’impressione che alcune persone vadano a messa come si va in un centro commerciale, soltanto per vedere o acquistare quello che interessa loro, senza curarsi di chi c’è, in mezzo ad altre persone però sole, senza preoccuparsi dell’orario, l’importante è arrivare prima che chiuda. Quasi sempre sono silenziose e attente, ma non basta, perché la chiesa che ne è plasmata è una chiesa che distribuisce servizi e sacramenti svuotati, una chiesa spersonalizzata e disumana.

Per una comunità umanizzante invece la celebrazione inizia molto prima delle undici e un quarto, inizia nel tempo che mi prendo per uscire di casa, per arrivare alla chiesa; inizia nei saluti, nelle parole scambiate sul piazzale; inizia nel silenzio che creo per raccogliermi, per fare posto a ciò che celebriamo, per aiutare gli altri a creare in loro uno spazio di accoglienza. Attraverso il semplice ed umanissimo gesto dell’entrare in un luogo maturo una consapevolezza o un’altra, comunico un significato o un altro. Arrivare per tempo significa far nascere in noi la coscienza che siamo attesi, che siamo membri di questa comunità e non di un’altra, che desideriamo quest’incontro. Arrivare per tempo significa comunicare affetto e rispetto per le altre persone, significa far comprendere il valore di ciò che celebriamo insieme, significa voler plasmare una Chiesa che è comunità, una comunità che insieme cresce, ascolta, canta.

A questo punto, cioè nell’ora in cui la comunità è riunita, quando l’assemblea eucaristica è completa, il presidente può avviarsi all’altare, mentre si esegue il canto d’ingresso. Ma sul canto rifletteremo domenica prossima.

1 Didachè 9,4 La Didachè, detta anche Dottrina dei dodici apostoli, è un testo antichissimo, contemporaneo alle lettere di Paolo e ai vangeli che contiene indicazioni dottrinali e liturgiche.

3 novembre 2010

Vangelo e Commento Lunedì 1 Novembre Tutti i Santi

Discorso della Montagna - Gustavo Dorè (1832 - 1883)

Vangelo Mt 5,1-12a
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

 

_________________________________________________________________________________________________________________

Solennità di tutti i Santi

 

Comunione dei santi

 

Il bellissimo testo delle beatitudini, ogni anno ci accompagna nella riflessione sulla solennità che celebriamo, quella comunione dei santi, di cui parliamo nel Credo, forse senza pensarci troppo.

Per prima cosa allora vorrei specificare brevemente quest’idea: i battezzati sono il corpo di Cristo, un corpo che ha già vinto la morte, che morto una volta e risorto non muore più. Caratteristica principale del corpo, dice Paolo in un testo famosissimo tratto dalla prima lettera ai Corinzi è quella di essere uno, con membra diverse, seppure ugualmente utili al benessere dell’intero corpo. Non tutte le membra sono visibili, ma tutte hanno una funzione.

Un altro testo molto interessante che parla dell’unità unità è Giovanni 13, la vite e i tralci: a Pasqua abbiamo cantato che la vite è vivente, risorta; oggi la Chiesa ci invita a cantare che i tralci, puliti e potati dal Padre sulla vite che è Cristo, hanno dato il loro frutto, hanno prodotto una vendemmia abbondante e che questi grappoli, raccolti e spremuti insieme formano un unico vino, quello del Regno.

Noi oggi contempliamo e celebriamo questo mistero: i morti per Cristo, con Cristo e in Cristo sono viventi con lui e, come Chiesa celeste anc’essa membra del corpo di Cristo, è in comunione con noi, Chiesa pellegrinante, insieme per formare l’unico e totale corpo del Signore.

Un corpo che vive secondo le indicazioni e lo stile di quel capo che è Gesù Cristo.

E lo stile è quello delle beatitudini.

La prima cosa che vorrei dunque sottolineare delle beatitudini è proprio il fatto che contrassegnano la vita di Gesù, ne determinano lo stile.

Le sue parole sulla povertà, materiale o spirituale, sull’afflizione, la mitezza, la ricerca di giustizia non sono parole vuote dette per altri, ma sono veramente il compendio della sua vita.

Se noi andiamo a leggere i versetti precedenti a quelli che ci sono stati annunciati troviamo Gesù attorniato dalla folla, una folla fatta di semplici ascoltatori, di discepoli, di ammalati, indemoniati… il vangelo ci dice che tutte le infermità, le debolezze, le povertà sono accolte e curate da Gesù, dimostrando così che sono al centro del suo interesse, del suo affetto e quindi del Regno che lui inaugura: è per questo che sono beati, perché cittadini favoriti del Regno.

In realtà però le beatitudini presentate sono semplicemente un elenco di temi, non lo svolgimento, per trovare la trattazione completa dobbiamo percorrere tutto il vangelo e continuare a vedere la sintonia fra la vita di Gesù e questo programma iniziale.

Possiamo però cogliere gli orientamenti fondamentali che emergono dalle beatitudini: prima di tutto aprirsi al dono di Dio, cioè aver fede, e poi permettere che questo dono si allarghi ai fratelli e crei comunione, cioè vivere la carità. In questo è racchiusa tutta la legge.

Avere fede è la caratteristica del povero che confida solo in Dio, di chi è capace di farsi povero donando e condividendo con i fratelli; ha fede chi rinuncia alla violenza perché crede all’efficacia dell’amore vissuto nella mitezza, come ha fatto Gesù; aver fede significa avere un cuore unificato, trasparente, onesto che sa cogliere la presenza del Signore in ogni situazione della vita.

Poi c’è l’amore concreto di chi lotta per la giustizia e lavora per la pace, soprattutto a nome ed in favore di chi ha perduto la capacità di credere alla giustizia e alla pace; c’è l’amore del misericordioso, che è un amore anticipato come quello di Dio, “…quando eravamo ancora peccatori Dio ha mandato suo Figlio…”.

Sappiamo bene però che vivere l’amore e avere una fiducia incrollabile porta con sè anche una buona dose di sofferenza. C’è afflizione perché il Regno già presente nel mondo non è come lo annuncia Gesù e sofferenza perché scegliere radicalmente Cristo porta rifiuto ed emarginazione, quando addirittura violenza e martirio, e poi perché amare chiede di uscire da sé, di rinunciare al proprio egocentrismo e spendersi per l’altro.

Paradossalmente vivere così, nonostante la fatica e il sacrificio, da senso alla vita, la rende beata, bella, piena della gioia di chi assapora già ora il Regno di Dio, la gioia di chi sa essere santo.

Omelia di Don Domenico Malmusi

 

4 ottobre 2010

Siamo Ripartiti – Ottobre 2010

Filed under: Insieme,Prima Pagina — Insieme @ 06:18
Tags: , , , ,

Siamo ripartiti!

Già da qualche domenica, durante gli avvisi ricordo che la ‘macchina parrocchiale’ si sta rimettendo in moto e ora, dopo qualche incontro di formazione, di programmazione e di decisione siamo ripartiti con la catechesi per tutta la comunità.

Alcune cose che ci aspettano quest’anno saranno più o meno le solite, ma per qualcuno ci sono delle grandi novità: lo scorso anno abbiamo sperimentato una modalità nuova per il gruppo dei genitori e dei bambini di seconda elementare, una sorta di evoluzione del cammino che da alcuni la parrocchia propone per la iniziazione cristiana dei bambini, e da oggi questo modo coinvolge in parte i gruppi più ‘vecchi’ e il gruppo che partirà quest’anno. Poi diventa ‘curricolare’ un’altra sperimentazione che ha coinvolto la nostra parrocchia: da due anni un gruppetto di persone pensa, prova, sperimenta, ripropone e verifica un cammino per preadolescenti e adolescenti. Oggi questo cammino è diventato un sussidio a disposizione di tutta la diocesi di Modena e anche quella di Verona, sussidio che anche i nuovi gruppi dell’età della scuola media useranno per il loro cammino. Ci saranno più proposte di confronto e più cineforum, il circolo ci propone addirittura un ‘corso superiore di cucina tradizionale modenese’ denominato “L’Accademia del tagliere” per salvaguardare la nostra cucina tradizionale e istruire i giovani nell’arte di gnocco fritto, tigelle, tortellini e pasta fatta in casa.

La parrocchia vuole essere sempre di più un luogo di vita, di crescita, di scambio, di condivisione… un luogo nostro, dove ognuno possa trovare un proprio spazio e sentirsi a casa. Bentornati e buon cammino a tutti.

don Domenico

parroco

24 settembre 2010

Convegno Diocesano dei Catechisti – Dio Ha Delle Storie

Filed under: Appuntamenti — Insieme @ 07:01
Tags: , ,

Un  Convegno dell’ufficio Diocesano dei Catechisti il 25 settembre 2010 alle  14.45 presso il Centro Famiglia di Nazareth via Formigina, 319 a Modena

___________________________

DIO HA DELLE STORIE

_________________________

Un annuncio che dà nuovo significato alla vita Sabato 25 settembre 2010. Interverrà d.Gianattilio Bonifacio biblista e docente allo Studio Teologico San Zeno di Varona e al Pontificio Istituto Biblico, Rom.

PROGRAMMA:

ore 15.00 Introduzione e saluto di Mons. Lanfranchi

ore 15.30 Primo intervento di d.G.Bonifacio, L’intrigo a partire dal testo del Samaritano Lc 10, 25-37

ore 16.30 Laboratorio ad isole, con una scheda di d.G.Bonifacio, L’unzione di Betania Mc 14, 1-9

ore 17.15 Intervallo ore 17.40 Restituzione dei laboratori e intervento finale di d.G. Bonifacio

ore 18.15 Preghiera finale con l’arte

12 settembre 2010

Vangelo del 12/09/10

Domenica dodici settembre 2010

Vangelo (Lc 15,1-32)
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te;! non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vitaa, era perduto ed è stato ritrovato”».

Parola del Signore.

——————————————————————————————————————-

Omelia di Don Domenico Malmusi

XXIV Tempo ordinario

Chi è Dio?

Ci troviamo in una delle pagine più belle di tutto il vangelo, un testo che conosciamo bene, ma che non cessa di stupirci e forse anche un po’ di scandalizzarci: questa festa per il figlio peccatore ci sembra un po’ eccessiva, ingiusta. E davanti all’ingiustizia, soprattutto quella nei nostri confronti, quella che ci fa sentire vittime, il nostro cuore si riempie di rabbia. Quando nel nostro cuore nascono questi sentimenti il racconto di Gesù ha raggiunto il suo scopo, quello di risvegliare in noi la coscienza che siamo come il figlio maggiore, quindi come i farisei, i veri destinatari della parabola che raggiunge il culmine della narrazione proprio nel dialogo con il figlio maggiore. Tutto il racconto conduce alla festa, alla condivisione della gioia, ed il finale aperto è un invito molto forte a prendere una decisione, a scrivere noi la conclusione della storia che è la nostra storia.

Gesù si trova davanti due gruppi di persone con due atteggiamenti opposti: pubblicani e peccatori ascoltano, i farisei mormorano, criticano l’eccessiva familiarità con i peccatori. Gesù disse loro ‘questa parabola’, cioè un unico racconto anche se con tre scene diverse che riprendono e rafforzano i concetti. Lo schema è simile: qualcuno perde qualcosa, la cerca accuratamente, la ritrova e fa festa invitando tutti. La ripetizione serve a rafforzare l’idea, soprattutto le prime due scene sono quasi identiche, ma c’è anche un crescendo, uno sviluppo che aumenta il valore della perdita: una pecora su cento, una moneta su dieci, un figlio su due, o meglio due su due, come vedremo.

Nella terza scena tutto è molto più articolato, e occorre approfondire per comprendere bene.

Ho già detto altre volte che il figlio minore non vuole assolutamente una relazione con il Padre, lo desidera morto, tanto da pretendere l’eredità. Il Padre accetta e ‘muore’: lo lascia libero, non lo cerca più, non lo mette in guardia dai pericoli che può incontrare andandosene da casa. Lo attende, spera, soffre, desidera accoglierlo ma non lo cerca, e, quando ritorna, gli mostra il suo amore incondizionato, non lo rimprovera né gli chiede penitenze o espiazioni e nemmeno un ‘fare i conti’ prima di essere eventualmente riammesso nella casa da dove ha voluto andarsene. In questa terza scena la novità è posta dalla coscienza del perduto, dalla sua scelta ben precisa di andarsene. Non è come la pecora o la moneta che non hanno scelto, semplicemente si sono perdute, anzi, non sanno nemmeno di essere perdute, soprattutto la moneta che è solo un oggetto, per questo il pastore e la donna devono mettersi alla ricerca. Il figlio minore invece ha scelto e il Padre lo lascia libero. Proprio questo amore incondizionato, che esprime libertà, che rifugge da atteggiamenti punitivi, diventa la via aperta al giovane per fare esperienza del perdono quando ritornerà spinto dall’opportunismo, è chiaro infatti che non ritorna per affetto, ma per avere da mangiare.

Ma al padre questo non importa: il figlio c’è, è tornato, ora può finalmente capire che quella casa è la sua casa, non una prigione ma un luogo di libertà vera, di dignità. Questa è la conversione che deve compiere. Intanto si può far festa. Siccome la festa conclude le due scene precedenti noi siamo portati a pensare che qui ci sia il culmine della parabola, ma il parallelismo dei tre brani ci porta in realtà in una direzione diversa: l’azione del pastore e della donna è quella di cercare chi si è perduto senza averne coscienza e questa è l’azione del Padre nei confronti del figlio maggiore. Mentre il minore lo ha semplicemente atteso, ora il Padre esce, lo cerca, lo prega. Come per la pecora è la moneta non c’è la coscienza di essersi perduto, quindi non c’è il desiderio, più o meno maturo, più o meno equilibrista di ritornare al Padre. Tocca al Padre, come per il pastore e la donna compiere l’azione di ricerca, di supplica (il figlio non è una pecora che la prendi e la riporti all’ovile, deve entrare liberamente), di spiegazione. Al figlio che si sente schiavo (ho sempre servito e tu non mi hai dato… cioè ho lavorato senza paga come gli schiavi), defraudato il Padre oppone la ricchezza della relazione e della fedeltà (sei sempre con me, ciò che è mio e tuo).

Il testo ascoltato non è un testo morale, cioè che ci insegna come comportarci, ma teologico, che rivela Dio, che risponde alla domanda ‘Chi è Dio?’: Dio è colui che soffre per una perdita, che lascia liberi, che esce, cerca, aspetta, si commuove, corre, accoglie, abbraccia, supplica, è inerme, ricorda… soprattutto vuole condividere la gioia.

Entrare alla festa significa aver compiuto il passaggio dalla paternità alla fraternità, aver compreso che la vera condivisione è solo con i fratelli.

Immagine: Il Ritorno del figliol prodigo di Rembrant al museo Hermitage di San Pietroburgo

Crea un sito o un blog gratuito su WordPress.com.