Parrocchia Di Collegara-San Damaso

4 Maggio 2014

Vangelo E Commento Domenica 4 Maggio – III di Pasqua

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Michelangelo Merisi da Caravaggio- Cena in Emmaus, 1601-1602, olio su tela, National Gallery, Londra

Michelangelo Merisi da Caravaggio- Cena in Emmaus, 1601-1602, olio su tela, National Gallery, Londra

Dal Vangelo secondo Luca 24,13-35.

In quello stesso giorno, il primo della settimana, due discepoli di Gesù erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus,
e conversavano di tutto quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro.
Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste;
uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?».
Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo;
come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso.
Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.
Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro
e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.
Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!
Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?».
E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano.
Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno gia volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista.
Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?».
E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro,
i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone».
Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
I

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Pasqua III

Il secondo annuncio

I racconti delle apparizioni di Gesù risorto hanno tutti un tratto comune che è dato dall’incapacità di riconoscere immediatamente il Signore. Maria di Magdala l’aveva scambiato per il custode del giardino, sul lago di Tiberiade non è riconosciuto, qui è preso un viandante. Gesù, il maestro e l’amico, è diventato un estraneo, un forestiero. Il vangelo riporta diverse volte l’annuncio che Gesù sarebbe risorto secondo le scritture, ma questa parola non è entrata nel cuore dei discepoli e l’annuncio delle donne non li convince. Soltanto Tommaso ha il coraggio di manifestare la sua difficoltà a credere, ma tutti gli altri dimostrano di essere sulla sua stessa barca, di avere un cuore duro, lento. Proprio per questo motivo il racconto che i due di Emmaus fanno allo straniero è un racconto vuoto. Eppure è il primo e vero annuncio pasquale, tecnicamente è molto corretto, ma non c’è vita, è assolutamente privo di gioia, di speranza. Per loro Gesù è morto. Irrimediabilmente morto. E allora hanno il volto triste, la voce mesta di chi è senza speranza. Il cuore è lento e duro, impietrito, così come le orecchie che non hanno saputo ascoltare la Scrittura e gli occhi ciechi che non vedono Gesù.

Allora Gesù ‘cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui’, riprende cioè a spiegare la Scrittura con la pazienza del buon maestro, con la vitalità di chi vive ciò di cui parla. Tanto che poco i dopo i discepoli riconosceranno che mentre parlava il loro cuore ardeva, cioè si sentivano partecipi, pieni di energia, di affetto.

Però questo ardore non è ancora sufficiente: per riconoscere Gesù occorre un segno. Maria lo riconosce sentendosi chiamare per nome, Tommaso dalle ferite, sul lago dalla pesca prodigiosa, qui dal segno del pane spezzato. Finalmente, davanti a questo gesto c’è il riconoscimento, la gioia, la comprensione piena di ciò che si muove dentro di loro.

Poi, in pochissime parole il racconto arriva alla conclusione. Sembra che il culmine del racconto ci sia già stato, tutto la narrazione conduceva al momento del riconoscimento, il resto è quasi un di più. Invece proprio queste ultime parole così semplici, talmente sobrie da sembrare quasi scarne sono importantissime per noi.

Se avete notato il racconto contiene due annunci pasquali: il primo, quello fatto al viandante sconosciuto, dal punto di vista dottrinale è molto corretto, esaustivo, però è senza vita, il secondo, quello del ritorno a Gerusalemme è povero di parole ma pieno di entusiasmo e di vita. Questa differenza è fondamentale, l’evangelista ci sta dicendo che esiste un annuncio della risurrezione che per quanto corretto, completo di tutti i particolari, spiegato con cura non dice nulla. Quello che è credibile è il secondo annuncio un annuncio che prima di essere preoccupato della correttezza formale è testimonianza della propria esperienza, dell’incontro personale e del riconoscimento del Signore nel segno del pane spezzato. C’è stato un cammino, la nascita di una relazione, un’esperienza di condivisione – il pane spezzato non è una sorta di formula magica, ma la volontà di condividere, il nutrirsi insieme – ed è proprio questo che rende credibili le parole dei discepoli. Parole che raccontano un’esperienza, una vita, non una teoria o una filosofia. Parole che non sono tanto una cronaca degli eventi vissuti ma la condivisione del senso che quegli eventi hanno dato alla vita di ciascuno dei due discepoli.

Questo è il vero annuncio pasquale, non le formule dottrinali ma la vita, vera, vissuta, raccontata. C’è annuncio evangelico non quando esponiamo concetti dottrinali, che sono sempre un po’ astratti, ma quando raccontiamo qualcosa che ci è accaduto, che tocca il cuore della nostra esistenza che diventa esperienza di fraternità, di condivisione. Quando il finto dialogo che rimpalla le cose fra l’uno e l’altro – ciò che succede fra i due discepoli all’inizio del vangelo – diventa alleanza e comunione.

È questo che ormai di diversi anni cerchiamo di fare con il nostro progetto di catechesi: non ci interessa principalmente comunicare concetti dottrinali, quelli sono scritti su tutti i libri, si trovano su internet, sono accessibili a tutti; ci interessa comunicare la vita, condividere l’esperienza della fede, raccontare il nostro incontro con Gesù risorto, unica speranza di vita. E vogliamo farlo aprendo gli occhi davanti al pane spezzato, questo pane che ora spezziamo nella nostra celebrazione eucaristica e che diventa la fonte e il vertice della condivisione di cui siamo capaci nella vita. Questo è il vero annuncio evangelico, il secondo annuncio, cioè la narrazione della nostra fede.

Commento di don Domenico Malmusi

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