Parrocchia Di Collegara-San Damaso

22 giugno 2014

Vangelo E Commento Domenica 22 Giugno – Corpus Domini XII Tempo Ordinario

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Jacopo Tintoretto - L'Ultima Cena, olio su tela, 1592-1594, Basilica di San Giorgio Maggiore, Venezia

Jacopo Tintoretto – L’Ultima Cena, olio su tela, 1592-1594, Basilica di San Giorgio Maggiore, Venezia

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,51-58.
In quel tempo, Gesù disse alla folla dei Giudei: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
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Corpus Domini XII Tempo ordinario

Mistero visibile

La festa del Corpus Domini nasce nel XIII secolo per ridare vigore al significato di presenza reale di Cristo nel pane eucaristico, che si iniziava a mettere in dubbio. Il grande rischio di questa festa però è stato quello di separare il pane consacrato dalla celebrazione eucaristica, di trasformare il pane in se stesso in un oggetto di culto e di adorazione invece che in cibo da condividere. Così facendo si favorisce il culto privato, la preghiera silenziosa davanti al tabernacolo, piuttosto che la celebrazione comune della fede con condivisione del cibo che è poi condivisione della vita, e questo è certamente un rischio, una deviazione rispetto al comando di Gesù che è ‘prendete e mangiate’.

In realtà, nella chiesa, qualsiasi cosa può essere a rischio di deviazione se la si stacca dal vangelo che è il contenuto della fede e il senso della nostra fede. Il vangelo che abbiamo ascoltato è dunque fondamentale per comprendere e per vivere il senso di questa festa.

Gesù, nei versetti precedenti si era definito ‘pane della vita’ e ora usa il termine ‘pane vivo’: più che cercare di capire la differenza fra i due termini mi pare importante notare l’unico e costante riferimento al pane, alimento fondamentale per moltissimi secoli soprattutto per gli starti più umili della popolazione. È un alimento semplice e umile, simbolo del necessario per vivere. Ecco cosa vuole dire Gesù, la sua realtà è umile, semplice, necessaria, una realtà che l’uomo però non può darsi da solo, può solo riceverla, e riceverla da Dio. Il movimento dell’uomo è allora quello della gratitudine, cioè di fare eucaristia, per questo dono di vita fatto agli uomini di cui la manna era solamente un simbolo. Ora la vita di Dio si è fatta visibile, si può toccare e ascoltare nella concretezza di una vita umana: la vita di Gesù. Il pane, di cui si parla, non è primariamente il pane eucaristico, ma la vita stessa di Gesù che diventa vita per il mondo, una vita pienamente umana, concreta, visibile.

A questo punto però c’è un passaggio che risulta fondamentale: Gesù parla di carne, la sua carne. Sappiamo che anche il termine carne richiama soprattutto e prima di tutto la concretezza della vita umana di Gesù, è questa vita che occorre mangiare, anzi masticare secondo il significato primario del verbo usato dall’evangelista. Masticare è la prima azione necessaria per digerire bene. Questa prima azione, a differenza delle fasi successive, è un’opera volontaria, richiede la nostra scelta, l’uso della nostra forza. Una volta ingerito il cibo entra in un processo di digestione che non dipende più dalla nostra volontà, certamente però questa prima fase permette una assimilazione più o meno lenta, più o meno efficace … il cibo che abbiamo mangiato diventa parte di noi: “colui che mangia me, vivrà per me” dice Gesù. Masticare dunque indica il fatto di voler assimilare tutta la vita di Gesù, dalla nascita fino alla croce, la vita umana di Gesù. Certamente in vista della divinizzazione, ma attraverso quella vita fragile e mortale assunta dal Verbo della vita nascendo sulla terra.

Come è possibile mangiare la sua carne, si domandano i giudei e noi con loro. Come è possibile che quel corpo diventi cibo per noi. Qui entra in gioco la fede, l’accoglienza del mistero, il significato di sacramento. È certamente la fede che ci permette di riconoscere nel pane eucaristico la carne di Gesù, è la fede che permette di dire che Gesù è il pane che non proviene dalla terra ma discende dal cielo e che è destinato a essere mangiato per dare vita agli uomini, e proprio in questa affermazione di fede si manifesta il mistero della comunicazione di Dio e del misterioso scambio che ci ha redenti: per dare la vita occorre perdere la vita. Vale anche per me, oggi: la vita che perdo diventa vita per l’altro.

Per donare agli uomini la vita di Dio, il Figlio di Dio entra nella vita umana, diviene partecipe della carne e del sangue e invita l’uomo allo scambio, alla relazione, alla partecipazione, alla comunione. Invita l’uomo a mangiare la sua carne e il suo sangue, cioè lo invita e lo rende capace di partecipare alla sua vita. Una partecipazione alla sua vita che ha un effetto visibile: ora non è più questione di fede in un mistero, ma qualcosa di molto concreto, la vita di Gesù diventa nostra vita nelle scelte quotidiane, nelle relazioni che viviamo, nel modo di vedere e considerare le persone. La Vita si è fatta visibile, dice Giovanni nella sua prima lettera, cioè il mistero di Dio si è reso visibile nell’esistenza umana di Gesù, così il mistero dell’Eucaristia diviene visibile nell’esistenza di ciascun commensale, di ciascuno di noi, che ci nutriamo di lui per diventare come lui.

Commento di don Domenico Malmusi

11 giugno 2012

Vangelo E Commento Domenica 10 Giugno

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Leonardo Da Vinci – L’ ultima Cena

Dal secondo Matteo 10,7-13.
E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino.
Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.
Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture,
né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento.
In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza.
Entrando nella casa, rivolgetele il saluto.
Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi.

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Corpus Domini

Celebrare la vita

Come si nota il testo appena letto manca, al centro, di alcuni versetti (dal 17 al 21): sono quelli che parlano del tradimento di Giuda e della fragilità di tutti, infatti ciascuno si domanda se non sia lui il traditore. Subito prima (10-11) si racconta dell’accordo di Giuda con i sacerdoti e, immediatamente dopo (dal 27), Gesù predice il rinnegamento di Pietro. Come si vede siamo in un contesto di grande tensione, il tradimento aleggia con molta forza intorno a questa vicenda eppure Gesù, con grande serenità compie il gesto che sintetizza tutta la sua vita che, proprio perché inserito in questo contesto di slealtà, fa risaltare con maggior forza la sua fedeltà a Dio e ai suoi amici.

Pur nella sua brevità il racconto ci mostra la grande cura che accompagna questo momento: i discepoli si preoccupano per la celebrazione della Pasqua ormai imminente, però, con grande sorpresa, si accorgono di essere stati preceduti da Gesù, che ha già preso accordi da tempo e, per di più, senza che loro se ne accorgessero. Quello che sembra una sorta di predizione è semplicemente il frutto di un accordo: un segnale, la brocca d’acqua, che essendo un’occupazione tipicamente femminile in mano ad un uomo lo rende particolarmente riconoscibile, conduce i discepoli in una grande sala già preparata. A questo punto però i discepoli diventano protagonisti perché saranno loro a preparare la cena, a sistemare le ultime cose, a far sì che tutto sia pronto per la sera in cui si celebra la pasqua. Poi il racconto non si sofferma più sulla cena, che è rituale e piuttosto lunga, ma introduce la novità di Gesù durante la cena, mentre stanno ancora mangiando. Una novità fatta di gesti e di parole, non solo un gesto, perché il pane spezzato fa parte della normalità del rito ebraico, quindi non avrebbe detto niente di nuovo, e non solo parole che sarebbero rimaste vuote e incomprensibili, ma gesti e parole intimamente connessi che diventano la rivelazione, il sacramento, il segno salvifico che ancora oggi celebriamo.

Tutto questo ci porta a riflettere su alcune cose: la prima è che da questo racconto di Marco appare con molta forza l’aspetto comunionale e relazionale dell’eucaristia. I discepoli sono chiamati a fare qualcosa, ad assumersi la responsabilità, ad intervenire. Vanno, preparano, prendono il calice e bevono, insomma sono attivi, protagonisti. Come sottolineavo prima l’iniziativa è e resta di Gesù, ma il fatto che lui preceda, che ami per primo, che prepari non elimina la responsabilità di chi partecipa alla cena. Soprattutto appare bene quanto sia importante preparare con cura e in anticipo ciò che ci preme. Anche per noi oggi, la celebrazione non può essere uno spettacolo a cui si assiste, ma una condivisione di responsabilità, pur nelle diversità dei ruoli, che permette veramente di sperimentare la comunione già da prima di iniziare la celebrazione, e non solo per quanto riguarda la preparazione ‘tecnica’ cioè l’altare, la chiesa, chi legge ecc, ma soprattutto la preparazione interiore: se arrivo trafelato e all’ultimo minuto difficilmente posso essere preparato a ciò che sto celebrando.

Il secondo aspetto è che il rito è importante ma non è sufficiente. Per Gesù il rito è quasi un pretesto per dire una parola che diventa la sintesi della sua vita e l’annuncio del gesto grande e definitivo che manifesta il suo amore e la sua fedeltà. Senza questa celebrazione i discepoli non avrebbero potuto comprendere appieno il senso di quello che può benissimo essere interpretato come il fallimento totale della sua missione. Invece il rito e le parole rendono chiaro il senso della vita e della morte, non solo di Gesù, ma di ciascuno di noi.

In terzo luogo mi pare importante riprendere l’idea del contesto di tradimento e di crisi che accompagna il momento dell’istituzione dell’eucaristia. Ogni epoca e ogni situazione sociale contiene elementi di crisi, oggi per noi la crisi si manifesta con la disgregazione sociale, con la pluralità di culture e di riferimenti, con la crisi economica e con il terremoto. Tutte situazioni che spaventano, che fanno sentire insicuri, instabili. Spesso in queste situazioni la sensazione è quella di essere abbandonati da Dio, di non potersi più fidare di nessuno. Eppure è proprio in una situazione di crisi come questa che Gesù porta a compimento il suo dono d’amore, che è capace di mostrare una piena fiducia al Padre, che resta saldo nella sua scelta. Non possiamo incolpare la crisi della nostra poca fede e delle nostre paure: non è la causa ma semplicemente ciò che fa emergere quello che abbiamo nel cuore.

Celebrare la solennità del Corpus Domini, non significa adorare il pane consacrato, ma verificare la propria vita alla luce del dono di Gesù e imparare da lui la fedeltà, la cura e la capacità di unificare il rito che celebriamo con la vita che viviamo.

Commento di Don Domenico Malmusi

27 giugno 2011

Vangelo E Commento Domenica 26 Giugno, Corpus Domini

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Resurrezione Della Carne - Luca Signorelli, Cappella Di San Brizio, Duomo Di Orvieto

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

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Corpus Domini (XIII Tempo ordinario)

Grazie all’umanità di Gesù

Celebriamo la solennità del Corpo e del Sangue del Signore e la liturgia ci pone davanti un brano tratto dal capitolo 6 del vangelo secondo Giovanni, un capitolo molto importante perché contiene un esempio stupendo di predicazione eucaristica. Come sapete Giovanni non racconta l’istituzione dell’Eucaristia ma la spiega in questo capitolo in cui usa un termine che vuole sottolineare al massimo il senso molto concreto e realistico dell’incarnazione. La parola usata è carne, invece di corpo, come invece siamo abituati a sentire nei racconti dell’ultima cena.

Se siamo attenti al senso del discorso ci accorgiamo che Giovanni non è preoccupato solo di spiegare l’Eucaristia-sacramento, cioè di dire che quel pane è veramente il corpo del Signore, ma di rendere accessibile il senso di tutta l’esistenza di Gesù perché il discepolo possa conformare la sua vita a quella del Maestro. Gesù è colui che è sceso dal cielo e che si offre per la vita del mondo. Il discepolo è colui che si nutre della carne e il sangue del Signore, cioè che riconosce l’origine di Gesù e il suo significato di salvezza, lo accoglie e lo condivide.

Questo però è un discorso duro, ostico, tanto da indurre i giudei a discutere in modo acceso, aspro, non con Gesù ma fra di loro, spaventando alcuni discepoli e portandoli a non seguire più Gesù (v 66).

Ma cos’è che rende così duro questo linguaggio? Probabilmente il fatto che la ricchezza dell’amore di Dio, la vita divina, il dono della salvezza arrivino sotto sembianze così quotidiane e conosciute rende difficile riconoscerne la grandezza. Poi Gesù offre sempre un dono più grande di quelle che sono le aspettative umane, tanto grande che diventa incomprensibile: dopo il miracolo dei pani la folla lo cerca per avere ancora pane gratis, mentre Gesù, con il miracolo, vuole comunicare il grande amore di Dio che salva e redime tutta la nostra vita. Infine, comprendere il senso del mangiare la carne e bere il sangue, cioè comprendere che questo ci porta ad assimilare la vita di Gesù, quindi a vivere come lui, ci fa molta paura.

Accettare di “vedere” Dio nell’umanità, comprendere questa via come unica possibilità di adesione a Dio, pone però in una situazione di rinuncia della semplice obbedienza alla legge. La salvezza non si trova nel mettere in pratica pedissequamente delle norme di una legge, seppur definita da Dio, ma dalla umanità di Gesù, cioè ridefinendo la propria umanità partendo dal modo di Gesù di essere uomo. Questo significa operare continuamente un discernimento, una interpretazione nella libertà che sgomenta perché ci pone in una situazione di grande responsabilità. È molto più facile obbedire ad una serie di regole codificate che non chiedono il coinvolgimento del nostro cuore, della nostra intelligenza, cioè della nostra vita. Per fare questo non c’è bisogno del vangelo, sono sufficienti alcune regole chiare, delle direttive precise, delle consuetudini fissate.

Mangiare me” invece ci porta ad una operazione spirituale di assimilazione nella propria vita della vita di Gesù, la vita vera, come è narrata dai vangeli, con i suoi gesti un po’ strani, come l’impastare il fango o lo scrivere per terra, con le sue relazioni amicali, con i banchetti, con la preghiera solitaria, il lasciarsi toccare e profumare dalle donne, il suo essere solidale, la capacità di portare avanti fino al compimento il progetto d’amore del Padre versando il suo sangue sulla croce. Questa operazione parte dalla fiducia, cioè dal credere, e poi dall’ascolto della Scrittura, poi una pratica di vita che mostri l’adesione a lui, che realizzi la volontà del Padre, e, in mezzo a tutto questo, il mangiare il pane Eucaristico.

Così si realizza quel vivere per lui, che significa avere Gesù come fine del proprio vivere, ma soprattutto come mezzo per vivere. Viviamo grazie a lui, grazie al suo dono di vita, alla sua umanità offerta e proprio per questo possiamo fare Eucaristia, cioè ringraziamento.

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