Parrocchia Di Collegara-San Damaso

27 aprile 2014

Vangelo E Commenti Domenica 27 Aprile – II Di Pasqua

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Hendrick Brugghen - Incredulità Di San Tommaso

Hendrick Brugghen – Incredulità Di San Tommaso

Dal Vangelo secondo Giovanni 20,19-31.
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».
Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi».
Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo;
a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.
Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».
Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!».
Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro.
Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

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Pasqua II

Tommaso

Il racconto evangelico inizia nel giorno stesso della Resurrezione, è quello della nuova creazione, il primo della settimana. Il luogo della scena non viene precisato, l’unica indicazione importante è che era chiuso. L’anuncio che Gesù è risuscitato non toglie i discepoli dalla paura, non permette di aprirsi. Si comprende bene che non basta sapere che Gesù è risuscitato, occorre sperimentarlo presente.

Ed ecco che Gesù si presenta ponendosi al centro della comunità. È una indicazione teologica, molto impotrante: la comunità cristiana è centrata unicamente in Gesù, è lui l’unico punto di riferimento e il fattore di unità.

Gesù comunica la pace, ma perché questa comunicazione di pace diventi effettiva deve essere accompagnata da gesti che la concretizzino, è questo il mandato alla comunità dei discepoli: prolungare la missione di Gesù di essere manifestazione visibile dell’amore del Padre. Quello che Gesù dà non è un potere di assolvere attraverso una formula ma la sua stessa capacità di amare, la sua misericordia. Ed è una consegna per tutti, per la comunità dei discepoli riunita.

La comunità cristiana ha quindi come compito quello di mostrare a tutti gli uomini il progetto divino realizzato da Gesù, cioè offrire la possibilità di uscire dalla situazione di ingiustizia rompendo con la condotta precedente. Quanti lo accolgono vengono liberati dal passato di peccato; quanti, pur ricevendo questa proposta di vita, la rifiutano rimangono sotto la cappa dell’ingiustizia/peccato.

Il percorso non è facile, per questo il vangelo mostra tutte le chiusure e difficoltà che si possono trovare nella comunità cristiana. Il primo problema è il rischio di una vita ecclesiale ripiegata su di sé, dominata dalla fobia del mondo esterno e dunque incapace di alcuna iniziativa vitale perché paralizzata in un atteggiamento difensivo. È questo il senso del luogo chiuso. È una comunità cristiana che deve lei stessa risorgere.

Poi c’è la spelndida figura di Tommaso, assente una prima volta e presente la seconda nel gruppo dei discepoli, che ha come soprannome “Didimo”, che significa “gemello”, “doppio”. È un discepolo di Gesù, ma sulla fede fa prevalere le sue pretese, le sue condizioni; sulla fiducia ai fratelli, gli altri discepoli, fa prevalere la durezza e la sufficienza; sull’oggettività e continuità di presenza in mezzo agli altri, fa prevalere un atteggiamento singolare e incostante. Dunque è figura di doppiezza. In lui ogni credente può riconoscere le proprie ambiguità e doppiezze nella vita di fede, tutte forme con cui ci difendiamo dal movimento di affidamento e ci isoliamo. Ma la fede cristiana non è vivibile individualmente, come avventura isolata, occorrono i fratelli. ed è proprio qui che si sviluppa il tema della fede di questo personaggio: Tommaso non vuole credere alla presenza di Gesù risorto e vivente, fidandosi della parola dei suoi fratelli, è questo il dramma che lo accompagna. È una questione di fiducia reciproca. Per quanto ci siano molte scusanti (la risurrezione è un tema difficile da credere; aveva lo stesso diritti degli altri di fare esperienza del Risorto; in quanto ‘fuori’ meritava una maggiore attenzione) la sua fatica riguarda proprio la relazione di fiducia con i fratelli. La chiusura non è tanto nei confronti del mondo esterno, ma nei confronti di chi condivide il cammino con noi, di chi ci è fratello nella fede.

Tommaso, l’incredulo, arriverà a dire: “Mio Signore e mio Dio!”, pronunciando la confessione di fede più alta di tutto il quarto vangelo, e rinuncerà anche alla pretesa di toccare il corpo piagato sentendo accolte le sue fatiche e durezze che, sicuramente in malo modo, con rabbia e arroganza, aveva confessato alla comunità. È questa accoglienza delle difficoltà personali che permette la fiducia e il passaggio alla fede. Bisogna avere il coraggio di comunicare le proprie fatiche alla comunità per sperimentare il fatto di sentirle accolte dal Signore.

Un altro passaggio molto difficile, per Tommaso come per noi, è quello di vedere nei corpi piagati la potenza di una trasfigurazione che fa delle piaghe delle cicatrici luminose e piene di senso: non più segno di morte o di peccato, ma segno di guarigione e di vita per sempre. Non solo le ferite di Gesù o dei poveri ma le cicatrici che rimangono in noi per ferite che, più o meno volontariamente, ci siamo fatti in passato. Una vita nuova è possibile se siamo capaci di vedere non più delle piaghe aperte ma delle cicatrici luminose che indicano la vittoria sul male e sulla morte.

Per arrivare a riconoscere Gesù Risorto, per Tommaso come per noi, bisogna essere in mezzo ai fratelli, con fiducia e gratitudine e così sperimentare che dove due o tre sono riuniti nel suo nome, il Signore è in mezzo a loro.

Commento di don Domenico Malmusi

2 Maggio 2011

Domenica 1° Maggio – Vangelo e Commento

Rembrandt - Incredulità di San Tommaso

Dal Vangelo Secondo Giovanni

Gv 20,19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

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II Domenica di Pasqua
Non essere più incredulo
Alcune domeniche fa abbiamo ammesso nella nostra comunità questi bambini che chiedevano il battesimo e abbiamo dichiarato che ci saremmo resi disponibili ad accoglierli, per dare loro una buona testimonianza di fede e permettere loro un cammino di incontro con il Signore che possa essere significativo. Ma qual è la buona testimonianza che una comunità deve dare? Per manifestare la propria fede basta che dichiari che “ha visto il Signore” così come fa’ la piccola comunità degli apostoli? Secondo il racconto evangelico, in realtà, questo non basta. Abbiamo sentito che a questo annuncio Tommaso non crede,  e sicuramente la sua incredulità nasce da delle rigidità che sono dentro di lui, ma, probabilmente, anche dal fatto che la comunità non è abbastanza efficace nell’annunciare. Il testo riporta che gli altri gli dicevano: «Abbiamo visto il Signore!» cioè ripetevano, insistevano, non glielo hanno detto una sola volta ma continuano a dirlo. Però questo ripetere, per Tommaso, invece di essere annuncio gioioso, diventa una specie di affronto, è un modo per ricordargli che lui è al di fuori del gruppo, che non era con loro, che a lui manca qualcosa. Questo lo irrigidisce ancora di più e lo fa’ sentire ancora più fuori dalla comunità. Con delle conseguenze molto gravi perché l’esperienza della fede, per quanto frutto di una scelta personale, è sempre un’esperienza comunitaria. Nella comunità occorre esserci, partecipare con assiduità e questo è frutto della scelta personale. La prima lettura è un testo famosissimo che spiega quali quali devono essere le assiduità di una comunità cristiana: ascoltare l’insegnamento degli apostoli, vivere la comunione e la condivisione, celebrare l’eucaristia e pregare. Ogni giorno sottolinea il testo degli atti. La costanza in queste azioni è necessaria perche sono realtà costitutive della chiesa e della adesione personale ad un itinerario di fede: la vita cristiana non è la scelta di un momento, un’esperienza di una stagione della vita ma un cammino di fedeltà ad una Parola ascoltata nella comunità, una condivisione costante di beni materiali e spirituali, una partecipazione abituale all’eucaristia domenicale.
Mi sembra però importante affermare che la comunità è primariamente luogo di accoglienza, di perdono: questo è il compito comunitario. La semplice ripetizione di una verità indica una realtà ecclesiale ripiegata su di sé, capace solo di riaffermare a se stessa una verità che non trasmette più la vita di Gesù. È una comunità dominata dalla paura del mondo esterno, compreso dunque un proprio membro diverso, un po’ dentro e un po’ fuori come Tommaso, una comunità che è incapace di qualsiasi iniziativa vitale e si concentra in un atteggiamento difensivo. Non basta affermare la verità, per quanto questa si essenziale. Occorre affermarla all’interno di una relazione che permetta l’assimilazione della verità.
Questo è lo stile di Gesù: lui accoglie la strana pretesa di Tommaso, è capace di ascoltare la sua sofferenza per la mancata esperienza che invece hanno avuto gli altri, non respinge il desiderio di un’avventura più profonda con lui. A questo punto però Gesù tocca il cuore del problema di Tommaso che è la sfiducia, le resistenze alla fede e lo invita a non essere più incredulo. C’è qui il riconoscimento del suo peccato, ma non c’è nessuna accusa, solo l’accoglienza e l’invito alla conversione. Il testo originale dice: «Non essere incredulo, ma diventa credente!» cioè non restare bloccato nella tua incredulità, ma mettiti in movimento, fai partire il tuo percorso di fede.
Questo però vale non solo per Tommaso ma per tutta la comunità. Una comunità che ha bisogno di una conversione, anzi di una vera e propria resurrezione. Con la passione e la morte di Gesù anche la comunità dei discepoli è morta. Dicono i vangeli che tutti fuggirono, si disperdono, la comunità non c’è più. Ora, con Gesù, anche la comunità può e deve risorgere. E come Gesù risorto conserva le ferite della sua passione così anche la comunità conserva le ferite della propria passione che sono la disgregazione, la sfiducia, la resistenza al perdono e all’accoglienza.
La risurrezione è la conseguenza di una vita spesa per amore, quindi è l’amore che permette la conversione e la risurrezione. Amore per Gesù, che deve stare al centro delle nostre relazioni comunitarie. La comunità cristiana non è un gruppetto di amici affiatato ma persone che hanno come riferimento centrale, personale e condiviso Gesù, l’unico che può donare la pace e il compito della remissione dei peccati. Amore per il fratello che si manifesta nell’accoglierlo, con le sue difficoltà, e che proprio perché lo si accoglie e lo si ama, può prendere coscienza del suo peccato e della conversione che deve compiere. Vivere l’amore significa vivere da risorti, vivere con Cristo che amiamo senza averlo visto, ma proprio in questo c’è la vera beatitudine.

Commento di Don Domenico Malmusi

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