Parrocchia Di Collegara-San Damaso

3 giugno 2013

Vangelo E Commento Domenica 2 Giugno

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Benvenuto Tisi Detto Il Garofalo - Moltiplicazione Dei Pani E Dei Pesci

Benvenuto Tisi Detto Il Garofalo – Moltiplicazione Dei Pani E Dei Pesci

 

Dal Vangelo secondo Luca 9,11b-17.
Ma le folle lo seppero e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevan bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Dategli voi stessi da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente».
C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli: «Fateli sedere per gruppi di cinquanta».
Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti.
Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste.

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Corpus Domini (IX Tempo per annum)

Spezzare il pane

Come sappiamo i racconti dei pani sono presenti ben cinque volte nei vangeli (Matteo racconta due volte il segno) e questo ci fa capire che il tema trattato in questi racconti è un tema molto importante. Proprio per questo occorre comprendere bene il senso che gli evangelisti hanno voluto comunicarci, quindi vorrei inquadrare la narrazione in un contesto più ampio. Cosa succede prima che Gesù compia questo segno? Poco prima Gesù aveva inviato in missione i discepoli raccomandando che andassero senza “bastone, né bisaccia, né pane, né denaro…” cioè in situazione di estrema povertà. Questo perché potessero maturare quell’atteggiamento di fiducia in Dio e nell’uomo, che la tradizione cristiana chiamerà poi provvidenza, che umanamente è molto difficile, ma necessario perché la povertà umana è lo spazio di azione di Dio. Al ritorno dei discepoli Gesù vorrebbe riposare con loro in disparte ma la folla li cerca e allora lui che accoglie tutti perché, come sottolineano altri vangeli, lui è capace di compassione, cioè di implicarsi con gli altri fino al punto di andare al di là dei propri bisogni, di riposo per esempio, si mette ad insegnare. Ed è proprio nel contesto dell’insegnamento della Parola che avviene tutto ciò che abbiamo sentito nel brano letto ora, perché è la Parola che dà senso e verità ai gesti che poi verranno compiuti. Anche oggi per comprendere il segno del pane occorre mettersi in ascolto attento della Parola, proprio ciò che succede in tutte le liturgie.

L’insegnamento è per tutti ma, in modo particolare per i discepoli che sono sì disponibili ad accogliere le folle ma solamente part-time. È ora che questa gente vada a casa, dicono ad un certo punto, è tardi, devono mangiare. Allora Gesù li provoca, non basta dare un po’ di tempo e qualche parola, non basta farsi portavoce dei loro bisogni, ma occorre nutrire la folla e nutrirla mettendosi in gioco personalmente: “Date voi da mangiare”. Lo sconcerto dei discepoli è evidente, fissati alle loro idee, sul modello commerciale vendere/comprare non sono capaci di prospettare una soluzione che vada al di là della stringente logica umana. Per Gesù invece esiste una logica diversa che è fatta di ringraziamento e condivisione, ed è questo l’insegnamento che vuole dare ai discepoli: devono passare dalla logica del comprare alla logica del condividere. Devono comprendere che il problema del pane non è il problema dell’affamato ma è il problema di tutti. Lo schema del comprare crea la divisione fra fortunati e sfortunati, fra poveri e ricchi, fra sazi e bisognosi. La bella esperienza della missione non è bastata ai discepoli per comprendere che la povertà umana apre alla possibilità di Dio e quando si ripresenta una situazione simile, sotto la forma della povertà della folla, sarà da riscoprire. I discepoli che vogliono congedare la folla sono ancora nella logica vecchia, e se anche avessero avuto abbastanza denaro per comprare pane per tutti non sarebbero usciti dall’idea del gesto di superiorità che mantiene una divisione netta fra ‘classi sociali’. La carità fatta in questo modo non ha nulla di evangelico, indica sì accoglienza, interessamento ma non è la rivelazione del Dio amore.

Allora Gesù mostra lo stile che lo contraddistingue compiendo i gesti che compirà successivamente nell’ultima cena, quei gesti che permetteranno poi ai discepoli di Emmaus e, dopo di loro, ai credenti di tutte le generazioni successive, di riconoscerlo presente nella vita della comunità: prende i pani, rende grazie, li spezza, li distribuisce. Anzi, in questo racconto accomuna a sé i discepoli dando a loro il compito di distribuire, rendendo molto chiaro che il segno non riguarda solo lui ma tutto l’agire ecclesiale. La vita di Gesù è stata una vita vissuta nella condivisione e nella gratitudine e accogliere il suo comando e il suo insegnamento immette i discepoli nella via che lui ha percorso.

Si comprende dunque che “date loro voi stessi da mangiare” non è un semplice appello alla generosità o una esortazione ad una efficiente e adeguata organizzazione assistenziale della carità. È un comando che contesta l’indifferenza e il disimpegno verso l’altro nel bisogno (“Congeda la folla …”) o il fatto di vedere la propria povertà come impedimento ad assolverlo (“Non abbiamo che cinque pani e due pesci”). È un comando che, certamente, va contro i parametri di buon senso, razionalità, efficienza che la nostra società ricerca e che sono presenti anche nella chiesa. Paradossalmente, proprio la povertà che i discepoli vedono come ostacolo, è per Gesù lo spazio necessario del dono e l’elemento indispensabile perchè “dar da mangiare” non sia solo una dimostrazione di efficienza umana, ma segno della misericordia di Dio e luogo di apertura alla fraternità e alla comunione.

È nel pane spezzato che si crea la comunione, è il pane spezzato e condiviso che diventa vita sovrabbondante per tutti.

 

Commento di don Domenico Malmusi

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