Parrocchia Di Collegara-San Damaso

6 agosto 2014

Vangelo E Commento Domenica 3 Agosto – XVIII Tempo Ordinario

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 Michelangelo Merisi da Caravaggio - Decollazione di San Giovanni Battista - olio su tela, Concattedrale di San Giovanni, La Valletta


Michelangelo Merisi da Caravaggio – Decollazione di San Giovanni Battista – olio su tela, Concattedrale di San Giovanni, La Valletta

Dal Vangelo secondo Matteo 14,13-21.
In quel tempo, quando udì della morte di Giovanni Battista, Gesù partì su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città.
Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare».
Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare».
Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!».
Ed egli disse: «Portatemeli qua».
E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla.
Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati.
Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

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XVIII Tempo ordinario

Il potere della condivisione

Il testo evangelico inizia riportando la tragica fine di Giovanni Battista che Gesù ha ascoltato come notizia. Forse è per questo motivo che Gesù decide di ritirarsi in disparte, in un luogo solitario e deserto. Un isolarsi dettato forse anche da timore ma prima di tutto per avere un tempo e un luogo in cui riappropriarsi interiormente di quanto è avvenuto, per farlo diventare oggetto di preghiera, di dialogo con il Padre, per leggere la propria responsabilità di fronte al vuoto lasciato da Giovanni.

Subito però è presentata la folla che segue Gesù a piedi dalle città. Per questa gente, vale la pena seguire questo Maestro, affrontare il viaggio, lasciare il proprio luogo tranquillo e sicuro, portare da lui i malati. Il desiderio di Gesù non può compiersi; la sua ricerca di solitudine svanisce di fronte alla presenza della folla partita senza organizzazione, senza rifornimenti. I motivi di questa ricerca non sono gravi o urgenti, forse le richieste della folla sono anche scorrette ed egoistiche ma evidenziano un bisogno forte e intenso di vita e di una vita bella e felice e questo muove la compassione di Gesù che inizia a guarire i loro malati.

Gesù ha ascoltato la propria fatica, il proprio dolore davanti alla morte di Giovanni, ed è proprio questo che fa di lui un uomo compassionevole che sa riconoscere le attese della folla e non si sottrae ad esse. Dalla sua sofferenza per la morte del Battista Gesù passa a vedere la sofferenza delle folle e soprattutto dei malati e degli infermi. E se ne prende cura. Gesù è entrato in contatto con la sua sofferenza, per questo sa vedere la sofferenza delle folle e la sua compassione diventa cura, azione terapeutica, una risposta umile ed efficace al male del mondo.

L’intervento dei discepoli permette di passare al tema centrale del brano: è una domanda opportuna, che mostra anche nei discepoli la presenza di una certa compassione: si fa tardi ed è necessario provvedere a far mangiare la folla così numerosa. L’unica possibilità è congedarla, così che possa provvedere al suo sostentamento. Di fronte alla proposta, Gesù risponde con una provocazione rivolta ai discepoli: “date loro voi stessi da mangiare”, alla quale i discepoli rispondono mostrando la scarsità di quanto dispongono, assolutamente insufficiente per tanta gente. Anche noi spesso avvertiamo la sproporzione tra ciò che siamo e abbiamo è quanto ci viene domandato o quanto avvertiamo che occorra fare. Ascoltare questa parola di Gesù significa fare esperienza di povertà, ma di una povertà che può e deve trasformarsi in consegna e affidamento, al di là dell’incomprensione e del limite. Cinque pani e due pesci, infatti, nelle mani del Signore si trasformano in un nutrimento per cinquemila uomini con un abbondanza tale da lasciare anche dodici ceste di pezzi avanzati.

Gesù non vuole sfidare i discepoli e tantomeno umiliarli, ma vuole far comprendere loro che il miracolo nasce quando diventiamo consapevoli della nostra povertà e, nonostante tutto, condividiamo. Anche Gesù è povero e fa ricorso a quanto è disponibile. I vangeli non parlano di miracolo, perché non vogliono sottolineare la potenza di Gesù. Ciò che determina la trasformazione sono i gesti compiuti da Gesù: “pronunciò la benedizione, spezzò i pani, li diede a discepoli”. Sono tre azioni che ritroveremo anche più avanti nel vangelo e che ci ricordano immediatamente il racconto dell’ultima cena. I gesti del Signore, potremmo dire, sono gesti eucaristici, che già alludono e anticipano il segno più pieno della consegna di sé, cioè del dono della vita sulla croce. I discepoli si appellano a Gesù perché con il suo carisma convinca la folla ad andarsene, ma per Gesù il potere non serve a convincere, ma a condividere, ad assumersi la responsabilità nei confronti della folla, e questo chiede anche ai discepoli. L’obiezione dei discepoli che vedono nella loro povertà l’impedimento ad assolverlo è una reazione che viene dal buon senso, della razionalità e dell’efficienza. Nella risposta di Gesù la povertà non solo non è un impedimento, ma è la condizione che manifesta la potenza della condivisione e dell’azione di Dio. La povertà della chiesa è la condizione della sua efficacia evangelica: essa svela la sua fede che consente alla potenza di Dio di agire.

Quello che emerge è la distanza tra il modo di vedere e sentire di Gesù e quello dei discepoli: una compassione diversa. Gesù accompagna i discepoli in un cammino di conversione del loro sguardo, della loro mentalità, dialogando e rendendoli partecipi e questo è il cammino che dobbiamo compiere anche noi oggi.

Commento di don Domenico Malmusi

3 giugno 2013

Vangelo E Commento Domenica 2 Giugno

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Benvenuto Tisi Detto Il Garofalo - Moltiplicazione Dei Pani E Dei Pesci

Benvenuto Tisi Detto Il Garofalo – Moltiplicazione Dei Pani E Dei Pesci

 

Dal Vangelo secondo Luca 9,11b-17.
Ma le folle lo seppero e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevan bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Dategli voi stessi da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente».
C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli: «Fateli sedere per gruppi di cinquanta».
Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti.
Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste.

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Corpus Domini (IX Tempo per annum)

Spezzare il pane

Come sappiamo i racconti dei pani sono presenti ben cinque volte nei vangeli (Matteo racconta due volte il segno) e questo ci fa capire che il tema trattato in questi racconti è un tema molto importante. Proprio per questo occorre comprendere bene il senso che gli evangelisti hanno voluto comunicarci, quindi vorrei inquadrare la narrazione in un contesto più ampio. Cosa succede prima che Gesù compia questo segno? Poco prima Gesù aveva inviato in missione i discepoli raccomandando che andassero senza “bastone, né bisaccia, né pane, né denaro…” cioè in situazione di estrema povertà. Questo perché potessero maturare quell’atteggiamento di fiducia in Dio e nell’uomo, che la tradizione cristiana chiamerà poi provvidenza, che umanamente è molto difficile, ma necessario perché la povertà umana è lo spazio di azione di Dio. Al ritorno dei discepoli Gesù vorrebbe riposare con loro in disparte ma la folla li cerca e allora lui che accoglie tutti perché, come sottolineano altri vangeli, lui è capace di compassione, cioè di implicarsi con gli altri fino al punto di andare al di là dei propri bisogni, di riposo per esempio, si mette ad insegnare. Ed è proprio nel contesto dell’insegnamento della Parola che avviene tutto ciò che abbiamo sentito nel brano letto ora, perché è la Parola che dà senso e verità ai gesti che poi verranno compiuti. Anche oggi per comprendere il segno del pane occorre mettersi in ascolto attento della Parola, proprio ciò che succede in tutte le liturgie.

L’insegnamento è per tutti ma, in modo particolare per i discepoli che sono sì disponibili ad accogliere le folle ma solamente part-time. È ora che questa gente vada a casa, dicono ad un certo punto, è tardi, devono mangiare. Allora Gesù li provoca, non basta dare un po’ di tempo e qualche parola, non basta farsi portavoce dei loro bisogni, ma occorre nutrire la folla e nutrirla mettendosi in gioco personalmente: “Date voi da mangiare”. Lo sconcerto dei discepoli è evidente, fissati alle loro idee, sul modello commerciale vendere/comprare non sono capaci di prospettare una soluzione che vada al di là della stringente logica umana. Per Gesù invece esiste una logica diversa che è fatta di ringraziamento e condivisione, ed è questo l’insegnamento che vuole dare ai discepoli: devono passare dalla logica del comprare alla logica del condividere. Devono comprendere che il problema del pane non è il problema dell’affamato ma è il problema di tutti. Lo schema del comprare crea la divisione fra fortunati e sfortunati, fra poveri e ricchi, fra sazi e bisognosi. La bella esperienza della missione non è bastata ai discepoli per comprendere che la povertà umana apre alla possibilità di Dio e quando si ripresenta una situazione simile, sotto la forma della povertà della folla, sarà da riscoprire. I discepoli che vogliono congedare la folla sono ancora nella logica vecchia, e se anche avessero avuto abbastanza denaro per comprare pane per tutti non sarebbero usciti dall’idea del gesto di superiorità che mantiene una divisione netta fra ‘classi sociali’. La carità fatta in questo modo non ha nulla di evangelico, indica sì accoglienza, interessamento ma non è la rivelazione del Dio amore.

Allora Gesù mostra lo stile che lo contraddistingue compiendo i gesti che compirà successivamente nell’ultima cena, quei gesti che permetteranno poi ai discepoli di Emmaus e, dopo di loro, ai credenti di tutte le generazioni successive, di riconoscerlo presente nella vita della comunità: prende i pani, rende grazie, li spezza, li distribuisce. Anzi, in questo racconto accomuna a sé i discepoli dando a loro il compito di distribuire, rendendo molto chiaro che il segno non riguarda solo lui ma tutto l’agire ecclesiale. La vita di Gesù è stata una vita vissuta nella condivisione e nella gratitudine e accogliere il suo comando e il suo insegnamento immette i discepoli nella via che lui ha percorso.

Si comprende dunque che “date loro voi stessi da mangiare” non è un semplice appello alla generosità o una esortazione ad una efficiente e adeguata organizzazione assistenziale della carità. È un comando che contesta l’indifferenza e il disimpegno verso l’altro nel bisogno (“Congeda la folla …”) o il fatto di vedere la propria povertà come impedimento ad assolverlo (“Non abbiamo che cinque pani e due pesci”). È un comando che, certamente, va contro i parametri di buon senso, razionalità, efficienza che la nostra società ricerca e che sono presenti anche nella chiesa. Paradossalmente, proprio la povertà che i discepoli vedono come ostacolo, è per Gesù lo spazio necessario del dono e l’elemento indispensabile perchè “dar da mangiare” non sia solo una dimostrazione di efficienza umana, ma segno della misericordia di Dio e luogo di apertura alla fraternità e alla comunione.

È nel pane spezzato che si crea la comunione, è il pane spezzato e condiviso che diventa vita sovrabbondante per tutti.

 

Commento di don Domenico Malmusi

30 luglio 2012

Vangelo E Commento Domenica 29 Luglio

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Francesco Da Ponte Il Giovane – Moltiplicazione Dei Pani E Dei Pesci

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,1-15.
Dopo questi fatti, Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade,
e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi.
Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli.
Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».
Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare.
Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro:
«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?».
Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero.
E quando furono saziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto».
Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!».
Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.

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XVII domenica del tempo ordinario

Fuggire il potere

Il segno della condivisione dei pani è un episodio particolarmente importante nel contesto dei vangeli: è l’unico segno di Gesù ricordato da tutti e quattro gli evangelisti, cosa che non accade per nessun altro miracolo. Naturalmente ogni evangelista mette in luce alcune caratteristiche proprie: tipico di Giovanni è, per esempio, il dialogo di Gesù con Filippo e poi con Andrea che serve a mettere in luce l’incapacità dell’uomo a risolvere il caso, la sua impotenza; questo per far risaltare che la salvezza è dono. Il racconto poi, in ciascuno dei vangeli, è punteggiato di allusioni all’eucaristia che, nella narrazione di Giovanni assumono un ruolo particolarmente importante e che saranno riprese nel resto del capitolo che ascolteremo nelle prossime due domeniche.

Il racconto inizia con Gesù che va’ all’altra riva del mare. “Dopo queste cose”: dice il testo. Prima era successo che Gesù aveva guarito un uomo paralitico da trentotto anni, ma in giorno di sabato. E di qui una diatriba, una discussione infinita con un gruppo di giudei perché aveva operato ciò di sabato. E Gesù “andò all’altra riva del mare”, come se non ne potesse più di quelle meschinità, di quelle visioni ristrette, di quell’aria asfissiante, come se avesse bisogno di un’aria finalmente respirabile, di un’altra riva, di un’aria nuova. A volte anche i nostri ambienti, per i discorsi che si fanno, ci fanno desiderare un’altra riva del mare.

Gesù alzati gli occhi vide… è interessante notare che l’iniziativa di sfamare le folle non viene dai discepoli (come nei racconti di Marco, Matteo e Luca), ma direttamente da Gesù. Non è motivata neppure dalla compassione nei confronti di folle stanche o smarrite (come si diceva nel brano di domenica scorsa). Il gesto di Gesù è gratuito, nasce dalla sua volontà, dal suo affetto, non è una reazione al bisogno. Nasce solo dal suo sguardo sulla folla in quel tempo che è vicino alla Pasqua.

Pur essendo un gesto che nasce da Gesù occorre la collaborazione dell’uomo, una collaborazione che sia sulla stessa lunghezza d’onda di Gesù. Il ragazzo che viene da Gesù ha solo i cinque pani d’orzo e i due pesci, dati questi non gli rimane più niente. È come se Dio, per moltiplicare, avesse bisogno di qualcuno che non calcoli, che sia disposto, come lui, a spogliarsi di tutto. Stiamo andando verso una società che si muove solo se c’è un corrispettivo, se c’è un ritorno. “Forse è anche per questo che il pane non si moltiplica sulla terra” dice un anziano prete di Milano.

Il dono di Dio è sempre sovrabbondante, anche nella prima lettura dei venti pani d’orzo e di farro, mangiarono e “ne avanzò secondo la parola del Signore”. Il Signore non si trattiene nel donare, non è meschino, non misura. Ma l’invito a raccogliere i pezzi avanzati custodisce un altro messaggio: il dono di Dio, i beni non vanno sprecati, non vanno sperperati, sono un dono e un dono non va buttato. È un invito a riconoscere la sacralità del dono: siamo fuori, molto lontani dalla mentalità del “consuma e getta”, tanto “le cose sono mie e ne posso fare quello che mi pare e piace”.

Il tratto più tipico di questo racconto di Giovanni è il contrasto tra le folle che cercano Gesù e Gesù che si sottrae alla loro ricerca. Gesù comprende che l’entusiasmo della folla manifesta una sorta di violenza per piegarlo ai propri desideri e soprattutto un totale fraintendimento della sua identità. Gesù non rifiuta l’acclamazione di profeta (“Questi è davvero il profeta che deve venire al mondo”). La profezia gli si addice, nessuno ha mai parlato a nome di Dio come lui. Ma dal potere temporale, da tutto ciò che circonda il nome di re, scappa lontano. A volte l’arte della fuga è l’unica possibilità di salvaguardare la qualità e la dignità della propria vita e la verità della propria fede. Gesù fugge, ma non per isolarsi, bensì per trovarsi insieme con il Padre. Fugge nella solitudine abitata della sua comunione con il Padre.

Così dovrebbe essere la chiesa. Quanti pretesti, quante contorsioni mentali per difendere un potere che Gesù ha rifiutato. Quante lotte, a tutti i livelli per detenere una briciola di potere che mi ponga ad un livello superiore agli altri. Come Gesù, ciascuno di noi e la chiesa intera, dovrebbe cercare non il potere ma la profezia. Non le nostre parole, ma la parola di Dio.

Commento di Don Domenico Malmusi

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